ROMA. Secondo le statistiche mediche elaborate dalla Società italiana sulla sindrome feto-alcolica sono 30mila i casi annui di bambini che in Italia nascono con la Fasd (sindrome dovuta all’assunzione di alcol durante la gravidanza da parte della madre). Tra i sintomi più trascurati del suddetto disturbo figurano i comportamenti antisociali, deficit cognitivi e comportamentali lievi o meno lievi, che si manifestano con la difficoltà nell’apprendimento verbale, nella memoria e nelle abilità logico-matematiche. Oggi a Roma, il primo congresso nazionale sul tema metterà in luce come anche solo le piccole eccezioni possano andare a discapito dei più piccoli.
LA SINDROME. Secondo i ricercatori non può ancora essere definita una soglia di consumo al di sotto della quale l’assunzione di alcol in gravidanza possa essere considerata innocua. È stato dimostrato, infatti, come anche leggerissime quantità  (circa 12g di alcol puro al giorno) possano sortire conseguenze di non poco conto.« Si tratta di un problema molto grave» sottolinea il presidente del Sifasd, Mauro Ceccanti. « Può colpire in forma differenziata, cioè producendo gravi disabilità a livello cognitivo, ma si può presentare anche come incapacità di apprendimento, di parola, o deficit di attenzione. L’unico modo per prevenirla è non bere assolutamente in gravidanza».
LA SITUAZIONE ALL’ESTERO. Se da un lato in America sono in corso studi per la correlazione tra sindrome feto alcolica e bullismo, dall’altro si riscontra  una frequenza decisamente maggiore nella diagnosi di disturbi cognitivi nei bambini provenienti dall’Est europeo, mentre in Italia si tende a gettare la polvere sotto il tappeto, ignorando il problema. Gli orfanotrofi dei Paesi dell’Est, infatti, registrano nei piccoli disturbi ascrivibili a tale sindrome, ma le famiglie che scelgono di fare il passo dell’adozione spesso non sono preparate e non sanno come comportarsi. In Italia, poi, come sostiene Ceccanti, c’è una certa tendenza a nascondere il problema,  per questo nell’evento in corso oggi a Roma si getteranno le basi per una collaborazione con gli scienziati americani del Nih-Niaaa (settore dell’Istituto Sanitario Americano) per stimolare la ricerca scientifica, ma soprattutto la sensibilità verso il problema.

di Claudia Di Perna

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