ROMA. E’ uno strumento deontologico per operatori dell’informazione che trattano notizie concernenti cittadini privati della libertà o ex detenuti tornati in libertà,la Carta di Milano, per ora,  è stata approvata solo dagli ordini regionali dei giornalisti in Lombardia ed Emilia Romagna. L’intento è che diventi uno strumento etico nazionale, come la Carta di Roma lo è per il tema dei rifugiati e dell’immigrazione. Il documento dovrebbe stimolare i giornalisti a “usare termini appropriati in tutti i casi in cui un detenuto usufruisce di misure alternative al carcere o di benefici penitenziari evitando di un ingiustificato allarme sociale e di rendere più difficile un percorso di reinserimento sociale che avviene sotto stretta sorveglianza”, ricordando che  “le misure alternative non sono equivalenti alla libertà, ma sono una modalità di esecuzione della pena”. Li inviterebbe, tra l’altro, a “tutelare il condannato che sceglie di parlare con i giornalisti, adoperandosi perché non sia identificato con il reato commesso, ma con il percorso che sta facendo. E a usare termini appropriati quando si parla del personale in divisa delle carceri italiane: poliziotti, agenti di polizia penitenziaria o personale in divisa”. Roberto Di Giovan Paolo, senatore della Commissione Diritti Umani e Presidente del Forum nazionale per il diritto alla salute in carcere, auspica che «quanto prima divenga una carta nazionale per fornire linee direttive per parlare correttamente del tema carcere e privazione della libertà in genere. Molto spesso tra i giornalisti non c’è conoscenza piena dei meccanismi del codice di procedura penale e come funziona il carcere».

di Redazione

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