di Walter Medolla*
NAPOLI. «Non posso permettermi di morire», ci dice la signora Angela. La morte è un lusso per chi, per 39 anni, ha cresciuto, assistito e amato il proprio figlio costretto sulla sedia a rotelle da un’anossia cerebrale. Il problema non è solo il suo, ma di tutti i genitori di quegli oltre 2 milioni di disabili che vive in Italia. Un problema che si è ripresentato in queste ore, con la storia della sorella del calciatore del Livorno Piermario Morosini, morto improvvisamente mentre era in campo. Lei, disabile, non ha più nessuno accanto. Lo chiamano il “dopo di me”, e affligge i genitori delle persone disabili. La domanda ricorrente è “quando non ci saremo più chi accudirà nostro figlio”? «Il fatto che l’età media si sia alzata sensibilmente – dichiara Toni Nocchetti dell’associazione Tutti a Scuola- ha paradossalmente ingigantito il problema. Ad affrontare la situazione saranno, nell’imminente, quei genitori che ora hanno dai 60 anni in su». Mentre Federico Minutillo, presidente della Lega per i diritti degli handicappati, spiega: «Si tratta di un vero e proprio dramma, che non si presenta solo con la morte dei genitori ma anche col loro invecchiamento.
LE ASSOCIAZIONI. Le istituzioni devono fare di più, soprattutto in Campania, dove siamo all’anno zero. Esistono forme di assistenza garantite in altre regioni d’Italia, in modo particolare al
Nord, che potrebbero essere prese ad esempio. Certo è – aggiunge Minutillo – che la
condizione di solitudine del disabile, quando viene a mancare il genitore, è orrenda e
troppo spesso dimenticata. In particolare per alcuni tipi di handicap, che sono difficili
da gestire e quindi ancora più terribili, l’assenza della rete familiare si fa sentire in
maniera drammatica». Soluzioni, adesso, non ce ne sono, tranne forme assicurative e un risparmio economico che garantiscano un’autosufficienza economica per il futuro. «La questione non può essere affrontata da un gruppetto di famiglie caparbie e tenaci- sottolinea Nocchetti- ma deve investire tutti. Bisogna iniziare a pensare al futuro
di questi ragazzi». In alcune città del nord Italia sono nate realtà residenziali che offrono assistenza diurna e notturna, ma sono mosche bianche che tra l’altro si scontrano con pesanti problemi economici di gestione. Secondo uno studio condotto dalla Fondazione
Cariplo, eseguito in 40 comuni lombardi si registrano “iniziative e proposte, anche molto eterogenee tra loro, messe in atto da soggetti nonprofit che agiscono in favore delle
famiglie con figli disabili”. A occuparsi del problema, sono, ancora una volta, le associazioni. Secondo dati Istat il 34% dei disabili di età 25-44 anni vive con i genitori (rispetto al 19% dei non disabili), il 17% dei disabili della stessa
età vive con un solo genitore (rispetto al 6% dei non disabili). La famiglia, per il 90% dei disabili, rimane il perno fondamentale di riferimento.«Se mi chiedi quale futuro hanno questi ragazzi – aggiunge Toni Nocchetti- e cosa c’ è dopo il “dopo di me”, ti rispondo il nulla». E solo questo basterebbe per suscitare rabbia e una forte reazione.
* estratto da Comunicare il Sociale – Aprile 2012

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