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Le tematiche sociali ispirano il mondo emotivo dei creativi della settima arte. E il Bif&st, la rassegna cinematografica svoltasi a Bari nei giorni scorsi, è ricco di tali esempi. Oggi la realtà supera ogni tipo di sceneggiatura, e persino i sogni. Quei sogni che per un maestro del cinema come Federico Fellini erano fonte primaria per scrivere la sinossi dei suoi film, secondo uno studio scientifico registrano nei tempi moderni un impoverimento. Così si verifica che sempre più registi raccontino tramite approfondimenti, ricerche e documenti inediti il tessuto sociale di un territorio e la cronaca presente e passata. Confezionano documentari che oltre ad avere come attori i protagonisti delle vicende descritte, assumono le sembianze di inchieste giornalistiche, soprattutto dove l’informazione fa acqua.
Il festival barese ha, così, scoperto la malinconica ironia che proviene dalle storie di alcuni ragazzi di vita che, se Pasolini ha descritto nella sua Roma, Agostino Ferrente ha ritrovato dopo undici anni a Napoli. Raccogliendo preziose testimonianze di quei bambini cresciuti tra abbandoni, difficoltà economiche e contesti degradati, con delicatezza e un pizzico di sana leggerezza, il regista è riuscito a cogliere anche “Le cose belle”, titolo del documentario, realizzato insieme a Giovanni Piperno. In questo avanti e indietro nel tempo, grazie alle immagini girate in due momenti diversi, gli spettatori vengono condotti per mano in un viaggio nella quotidianità di una generazione delusa e impotente.
Ancora più cruda è la verità che viene fuori da un altro viaggio, in cui si valicano i confini della memoria in una terra che non esiste più. Una linea oltrepassata da Matteo Bastianelli in “The Bosnian identity”. A poco più di un decennio dalla guerra, ha incontrato nella Bosnia Erzegovina alcune famiglie musulmane. Dall’ascolto sono riemersi vissuti rimossi e identità segnate ancora da un’orribile pulizia etnica.
Tornando in Italia, si ha, invece, uno sguardo scrupoloso sulla città di Brindisi a cinquant’anni dalla nascita del polo industriale. È il drammatico spaccato che si scopre ne “Il giorno che verrà” diretto da Simone Salvemini. La narrazione di quattro storie vere di persone che abitano una zona considerata tra le più inquinate d’Europa. Un lavoro attraverso il quale si puntano i riflettori sull’assenza di intervento da parte delle istituzioni e si riporta alla luce un sottobosco che procura danni all’ambiente e alla salute di migliaia di cittadini. Non ultimo “Noi non siamo come James Bond” il docu autobiografico di Mario Balsamo. Due amici, trent’anni di ricordi, un viaggio, la malattia che incombe su entrambi e diventa momento di condivisione per rivelare l’unicità dell’individuo. L’auto-rappresentazione cinematografica, realizzata anche con toni umoristici, si trasforma sempre più in atto terapeutico.
Infine, non è mancato al festival un supporto pedagogico. è stato offerto da “I bambini di Truffaut”, cooperativa sociale gestita da Giancarlo Visitilli, che da tredici anni opera in progetti sociali con l’obiettivo di sensibilizzare ciò che concerne il linguaggio cinematografico e non solo. Di qui la scelta del nome di un regista, Francois Truffaut, che ha saputo raccontare e “far vedere” il mondo dal punto di vista dei bambini. Esempi come “I quattrocento colpi” e “Il ragazzo selvaggio”, sono solo alcuni titoli di film sul genere. Al Bif&st la cooperativa ha coinvolto le scuole di Bari e provincia con due rassegne ad hoc, “Mafia e antimafia” e “I protagonisti della storia nel cinema”, ed ha fornito agli insegnanti del materiale didattico e filmico per ogni film scelto. Il passo successivo era poi il dibattito dopo ogni visione per poter fare formazione di “grammatica del cinema”.

di Mariangela Pollonio

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