cammerellePERUGIA – «Andate anche per noi, portateci con voi nei vostri luoghi di sport». «E’ un onore per me conoscere questi ragazzi, straordinari come i loro assistenti: dietro di me c’è una grande squadra, utilizzateci». Si concludono così gli interventi di Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi, e del campione Roberto Camarelle, nel corso della conferenza stampa di presentazione della partnership tra l’Istituto assisano e la Federazione Pugilistica Italiana in virtù della quale la squadra di boxe di cui Cammarelle è capitano porterà il messaggio dei ragazzi del Serafico nel mondo.
«Vi troverete – ha detto la presidente Di Maolo – ad essere veicolo del nostro messaggio, i nostri ragazzi – sorretti da operatori e famiglie – affrontano difficoltà con grandissimo coraggio. Sono molto contenta di poter legare il nome del Serafico ai valori dello sport, e in particolare della boxe, che invita alla correttezza, al rispetto delle regole e dell’altro».

La presidente ha voluto in particolare ricordare “il grande comportamento” di Cammarelle, vincitore dell’argento ai Giochi Olimpici
Da sottolineare che giorno scelto per presentare l’iniziativa, il 17 settembre, è la data di ‘compleanno’ del Serafico, fondato il 17 settembre 1871, e, per una felice coincidenza, anche onomastico del campione Cammarelle, come ha rivelato lo stesso pugile: «E’ un’emozione forte, siamo onorati di portare il messaggio del Serafico e di conoscere questi ragazzi che lottano e che sono straordinari, come i loro assistenti: sarà un onore per noi portare sul petto il loro simbolo».
L’istituto Serafico è un organismo ecclesiale che promuove e svolge attività di accoglienza, riabilitazione, assistenza socio-sanitaria, recupero, reinserimento sociale, laboratori artistici ed educazione cristiana di persone affette da gravi disabilità fisiche, psichiche e sensoriali.
Come pure di sostegno morale, psicologico e culturale.
La missione dell’Istituto Serafico, da sempre, è coniugare un’alta competenza scientifica a un forte spirito umanitario. Perché questo significa avere cura della persona.

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