NAPOLI. C’entra l’ambiente, ciò che mangiamo, pure il nostro stato psicologico. Ma c’entrano anche e soprattutto la prevenzione, la diagnosi e la cura. E stando ad un’ultima ricerca condotta dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano, al Sud i tumori uccidono di più. Un’ulteriore diseguaglianza. Lo studio, in corso da tre anni e che darà ulteriori notizie, si basa su dati raccolti da 14 registri tumori (in Campania è quello dell’Asl Napoli 4), prendendo in esame i tre tumori più diffusi e per cui è previsto uno screening, quello al colon retto, al seno e all’utero. Ebbene al Nord il 45 per cento dei tumori alla mammella viene diagnosticato allo stadio precoce, al Sud le percentuali scendono, sino a quella napoletana del 26 per cento, dove sono frequenti i casi con metastasi alla diagnosi. E questo cosa comporta? Scrive ieri sul Corsera il professor Giuseppe Remuzzi: «Lucia ha 89 probabilità su cento di essere viva fra cinque anni, Giovanna ne ha comunque 85, non poi così male date le premesse. Giovanna non morirà, ma il ritardo nella diagnosi le farà vivere una vita difficile rispetto a Lucia: anni di cure e di ricoveri in ospedale». Che vogliono dire sofferenze e disagi per la paziente e costi per il servizio sanitario. Anche l’approccio terapeutico cambia. Per un tumore alla mammella al primo stadio senza metastasi bisognerebbe ricorrere alla chirurgia conservativa e non alla mastectomia, cioé l’asportazione del seno. La probabilità che una donna napoletana venga trattata con chirurgia conservativa è del 30-40 per cento inferiore alla media italiana. Discorso simile per il tumore al colon retto. «L’adesione a standard diagnostico-terapeutici internazionali — si legge nella sintesi — è in generale soddisfacente al Centro-Nord e carente al Sud». Perché? Lo spiega bene Milena Sant che ha condotto, insieme ad altri colleghi, l’indagine. «Prendiamo il tumore alla mammella — dice la responsabile della Struttura complessa di Studi descrittivi e programmazione sanitaria dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano —, il fatto che non si applichino le indicazioni internazionali, a Napoli è attribuibile da una parte alla scarsa disponibilità di strutture radioterapiche, spesso private, che induce il chirurgo ad operare in maniera più radicale. Ma anche a un insufficiente aggiornamento professionale e alla frammentazione delle strutture sanitarie che trattano pazienti oncologici».
DIAGNOSI PRECOCI – Francesco Selvaggi è un oncologo napoletano, si occupa proprio di neoplasie del colon retto: «Io credo che il punto principale sia legato alla diagnosi precoce non tanto alla terapia. Purtroppo in Campania le campagne sono sempre molto stentate. Negli anni ’80 mi sono occupato di realizzarne un paio e per ben due volte ho fatto programmi regionali che poi si sono bloccati per beghe interne, politico-sanitarie». Cioé? «Per equilibri politici si è bloccato tutto. Ora stiamo in una fase più avanzata. Il piano regionale esiste e si deve attuare sul territorio. Ma il problema resta l’organizzazione, perché abbiamo ottimi medici». Renato Pizzuti è dirigente dell’Osservatorio epidemiologico della Regione Campania, si occupa di dati e organizzazione: «Il primo strumento per poter parlare seriamente sono i registri tumori. Attualmente in Italia meno del 50 per cento della popolazione è coperta. In Campania quello della Napoli 3 copre un milione di abitanti. Un altro milione quello della provincia di Salerno e, anche se non ha prodotto ancora dati, è attivo anche quello della provincia di Caserta. L’altroieri s’è insediato il comitato tecnico scientifico per il registro tumori regionale. Tra tre anni sarà coperta l’intera popolazione, unico caso italiano».
FARE PREVENZIONE – E nel frattempo? «Nel frattempo dobbiamo fare prevenzione, che si fa anche se non c’è una copertura totale. Ci sono problemi di interruzione, ma in generale gli screening funzionano». Allora perché si muore di più? «Nel caso dei tumori alla mammella e all’utero non c’è molta adesione da parte delle donne. È un problema spesso anche culturale, oltre che socio-economico». Preferiscono farsi curare altrove. «C’è poca fiducia nell’organizzazione della sanità campana, il più delle volte in maniera immotivata. Bisogna riuscire ad essere più credibili». E come si fa ad essere credibili? «Incidendo sull’organizzazione ospedaliera, sull’abbattimento delle liste di attese e non solo». Francesco Cognetti è direttore della divisione di Oncologia presso l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e spiega: «La maggior parte dei pazienti viene curata in ospedali generali, non in centri specialistici. Per fare un salto in avanti al Sud è necessaria un’applicazione degli screening per i tumori al colon retto, al seno, all’utero e aggiungerei ai polmoni che coinvolga massicciamente la popolazione. E in termini di terapie, servono strutture destinate a queste patologie e l’avvio di un sistema di rete certificato e qualificato che manca completamente».

di Simona Brandolini (corrieredelmezzogiorno.corriere.it)

 

Simona Brandolini

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