Sono state 463 le nuove richieste di aiuto giunte l’anno scorso alla Rete dei Centri Antiviolenza del Comune di Napoli. È quello che emerge dai dati raccolti nel 2024 dalle strutture che operano sul territorio, analizzati e raccolti in un dossier consultabile sul sito del comune di Napoli. Dallo studio si evince che non ci sono quartieri in cui la violenza attecchisce più che in altri e, inoltre, ci sono sempre più ragazze, dai 18 ai 25 anni, che si rivolgono alle strutture comunali. “Il dato che va messo in evidenza perché molto grave, riguarda le ragazze che già a 18 anni vengono a chiedere supporto – evidenzia l’assessora alle Pari opportunità del comune di Napoli Emanuela Ferrante – Sicuramente, dipende dal fatto che ne stiamo parlando molto nelle scuole, dove spieghiamo quali possono essere i tipi di violenza: da quella fisica, sessuale, o anche più subdole, come quella psicologica, economica, così come la gelosia eccessiva che è anche quella chiaramente una forma di violenza”.

Quello che le cifre sintetizzano è un problema trasversale: rispetto ai contesti sociali, economici e culturali. Casi di violenza si registrano in tutte le Municipalità in maniera quasi uniforme (dai 33 della Prima ai 56 della Quinta) con le eccezioni della Settima e dell’Ottava (rispettivamente 9 e 7 casi). Quattrocento persone seguite sono italiane, altre 16 provengono da Paesi europei, 47 da Paesi extraeuropei. Tra le vittime figurano sia donne coniugate (169) che nubili (184), sia lavoratrici con occupazione stabile o saltuaria (232) che non occupate (169), ma anche casalinghe (21), studentesse (27) e pensionate (10). La maggior parte (301) ha un diploma o una laurea. Per Rosa Di Matteo, presidente di Arcidonna e coordinatrice dei centri antiviolenza comunali “la violenza sulle donne è assolutamente trasversale, non ha confini, non ha geografia, non ha classe sociale, non ha classe economica. Infatti i nostri dati lo dicono chiaramente. Noi abbiamo il Vomero e la nona municipalità Soccavo-Pianura che esprimono gli stessi numeri”. 

La fascia di età in cui si registra il maggior numero di casi (193) è quella che va dai 40 ai 49 anni, ma non mancano segnalazioni di minorenni (2) e di donne ultra 69enni (17). Molte vittime (193) si sono rivolte spontaneamente ai Centri antiviolenza, gli altri casi sono stati segnalati, tra l’altro, dai pronto soccorso o dalle forze dell’ordine.  
Secondo l’assessora Ferrante e la dottoressa Di Matteo oggi ci sono gli strumenti per intercettare i casi di violenza, ma bisogna anticipare l’intervento delle istituzioni agendo prima che si verifichino, con azioni culturali e di formazione. “La formazione è importante e sarebbe necessario farla fare a tutti gli operatori del settore, – spiega l’assessora – a partire anche dagli stessi insegnanti delle scuole che dovrebbero poter intercettare eventuali casi di disagio da parte dei ragazzi e quindi adoperarsi. I giovani non sono più abituati ad avere relazioni normali tra di loro, quindi occorrerebbe intervenire nella scuola che è l’unico presidio al di fuori della famiglia, che può intercettare se ci sono problematiche. Un altro elemento fondamentale di prevenzione è la formazione degli operatori del settore, perché anche negli ospedali ad esempio, se non nei percorsi rosa che comunque sono pochi a Napoli, non c’è magari il personale qualificato a ricevere e capire se una donna è stata vittima di violenza. Come pure ci vuole formazione presso le forze di polizia, anche lì molto spesso le donne trovano operatori non qualificati che tendono culturalmente a sminuire l’episodio”. 

“Laddove noi troviamo formazione nella catena degli attori, dei diversi attori, il percorso di fuoriuscita non solo è più efficace e più efficiente, ma dura molto meno, perché parliamo la stessa lingua, – spiega la Di Matteo – non c’è bisogno che ci spieghiamo le cose, non c’è bisogno che ci dobbiamo confrontare subito a determinate cose, perché ci siamo formate e sappiamo fare tranquillamente la differenza tra violenza e conflitto. Questo ci consente praticamente di camminare in maniera più efficace, più efficiente, ma soprattutto più velocemente”.  
Andando ad analizzare l’ambiente in cui si sono consumati i casi di violenza e la tipologia di violenza subita, emerge che gli aggressori sono soprattutto coniugi e partner conviventi (163), partner non conviventi (40), ex coniugi o ex partner conviventi (76) ed ex partner non conviventi (102). Altri 24 casi sono riconducibili comunque all’ambiente familiare. Molto spesso le violenze si consumano davanti agli occhi dei figli. Quattro, infine, i casi segnalati in cui l’aggressore è il datore di lavoro. Da quasi tutte le storie delle vittime emerge come la violenza psicologica (422 casi) sia una costante, sovrapponendosi quasi sempre ad altri tipi di violenza: fisica (326 casi), economica (227 casi), sessuale (121 casi considerando anche le molestie) o di tipo persecutorio (138 casi). Tre i casi di mobbing.  
L’assessora Ferrante, poi, si sofferma su di un altro tipo di violenza, e cioè quella economica: “Circa il 65% delle donne che subiscono violenza sono quelle che non hanno un’indipendenza economica e quindi devono sottostare naturalmente, come dire, al ricatto perché non sanno dove andare. Quindi occorrerebbero una serie di misure a supporto per sviluppare e consentire ancora di più alle donne di trovare una loro autonomia lavorativa. Noi abbiamo preso 150mila in bilancio dei fondi comunali da destinare alle donne che hanno fatto il percorso dei nostri centri antiviolenza e che sono fuoriuscite dalla violenza di seguire dei tirocini extra curricolari utili poi all’inserimento lavorativo”.  
di Adriano Affinito

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