ROMA. Con la chiusura dal 1 aprile degli ospedali psichiatrici giudiziari (Opg), 800 malati mentali gravi saranno «a rischio cure» e «soli» perchè le strutture alternative di assistenza previste «non sono ancora state approntate dalle Regioni». È l’allarme
lanciato dalla Società italiana di psichiatria (Sip), che chiede una proroga dei termini. Si potrebbero verificare, avverte il
presidente eletto Emilio Sacchetti, «problemi di sicurezza per il rischio di reiterazione di reati da parte di alcuni dei
pazienti».
IL DISEGNO DI LEGGE – Gli Opg chiuderanno in base a un disegno di legge voluto dai ministeri di Salute e Giustizia. Ma il nostro
Paese, è l’allarme lanciato dagli psichiatri durante una conferenza stampa alla Camera, «è impreparato a gestire e collocare
questi pazienti, alcuni anche pericolosi, a causa dell’assenza di strutture alternative o di finanziamenti che seppur stanziati
non sono facilmente fruibili». La mancata gradualità nella chiusura degli OPG (le Regioni avranno solo 60 giorni per trovare
strutture alternative) e «l’inascoltato appello a una proroga, rischia di provocare gravi conseguenze».
LA DENUNCIA – La Sip denuncia, inoltre, la carenza di assistenza psichiatrica nelle carceri, dove peraltro confluiranno molti di
questi malati. Malati che si sommeranno a quel 15% di detenuti (oltre 10 mila nel 2012) che risulta affetto da disturbi psichici,
malattie infettive o correlate alle dipendenze. Il ddl, spiega il presidente SIP Claudio Mencacci, «è stato portato avanti senza
sentire ragioni. Questo non è accettabile, così come non è accettabile che agli psichiatri, a causa di questo provvedimento,
saranno gravati da ulteriori responsabilità civili e penali e verrà loro richiesta una funzione di vigilanza e custodia di questi
malati invece di svolgere le funzioni di cura che loro competono».
LE SITUAZIONI COMPLESSE – Di fatto, chiarisce la Sip, i dipartimenti di salute mentale italiani, in quest’ultimo anno, hanno già
provveduto a prendere in carico moltissimi pazienti provenienti dagli OPG, ma il problema si pone per quelli con situazioni più
complesse che necessitano di una tipologia di controllo che le strutture territoriali attuali non possono dare. Prima di chiudere
gli OPG, «occorre realizzare degli interventi strutturali tali da garantire, laddove necessario, la messa in sicurezza sia dei
pazienti sia degli operatori e della comunità. Mentre oggi i reparti sono aperti e non preparati a gestire, in assenza di una rete
coordinate alle spalle – avverte Sacchetti – situazioni di pazienti che possono reiterare un delitto».
redazione online corriere.it
 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui