ROMA – Salamat è nato in Pakistan, ha 25 anni ed è da poco arrivato in Italia. E’ scappato dal suo paese di origine per sfuggire ad un gruppo di Talebani. «Volevano mi arruolassi nel loro esercito della morte, sono andato via perché rifiutando sarei stato ucciso». Salamat studiava ingegneria e sogna di poter terminare gli studi. Dice di essere fortunato, perché ora si trova in un posto sicuro. «Qui ho il diritto di vivere e di decidere. Per me è già tanto». Si racconta e si stringe da solo le mani, quasi come se volesse farsi forza, mentre ricorda che a chilometri di distanza ha lasciato cuore e famiglia. Asad invece ha 30 anni ed è un papà. Parte dall’ Eritrea perché la figlia piccola ha bisogno di cure e di un intervento chirurgico delicato. Durante il suo viaggio nel deserto, il suo convoglio viene attaccato. Viene fatto prigioniero. Dopo l’assalto perde le tracce della sua bambina, che intanto, grazie all’aiuto di una donna sconosciuta che viaggiava con lui, è riuscita ad arrivare in terra italiana. Trasportata subito all’ospedale di Firenze, con l’intervento di Save The Children, ricoverata ed assistita dai volontari della Cri, la ritroverà dopo cinque mesi, quando finalmente, disperato e preoccupato, metterà piede anche lui in Italia. Sono solo alcune delle storie che si intrecciano al Presidio umanitario di Roma, zona Tiburtina, della Croce Rossa Italiana, dove in un quartiere di “frontiera”, difficile e problematico, si parla una lingua fatta di accoglienza, solidarietà ed integrazione. In uno stabile, sotto sequestro della magistratura, dopo lo scandalo Mafia Capitale, affidato alla Croce Rossa per attività umanitarie e di volontariato, da ottobre, si sono alternate, incontrate e mescolate più di 550 vite in fuga. Al centro, si vive la quotidianità : c’è chi fa le pulizie, chi aiuta a cucinare, chi segue il corso di italiano, tenuto da due volontarie, Gabriella e Federica, che sembrano aver abbracciato una missione.
LA CROCE ROSSA – «Quest’estate – afferma Giorgio De Acutis, coordinatore del presidio – avevamo una tendopoli adiacente alla stazione Tiburtina, dove ospitavamo in media 200 persone al giorno. A seguito dei cambiamenti climatici abbiamo chiesto al Comune di Roma un posto caldo e da metà ottobre siamo qui. Da noi ci sono gli stranieri temporaneamente presenti. La stragrande maggioranza è Eritrea, un 25% viene dall’Etiopia, ci sono poi Siriani, Sudanesi, Palestinesi, Nigeriani. Il presidio umanitario è in grado di offrire un rifugio per il tempo di permanenza a Roma, quindi un letto, cibo e assistenza sanitaria, ma soprattutto grazie alla collaborazione che abbiamo con il Ministero degli Interni, l’ufficio dell’Unione Europea che si occupa di diritto d’asilo e UNHCR, da questo luogo si può accedere alle quote di ricollocamento legale in Europa. Tutti sognano di proseguire il viaggio verso altri paesi e ricostruire quel che hanno perso. Ogni giorno abbiamo a che fare col dolore, arrivano, ad esempio molte donne. La prima cosa che fanno è chiedere un test di gravidanza. Spesso sono incinte, e vogliono abortire perché violentate dai trafficanti, ma condividiamo anche la gioia : Lisa, piccola sudanese, nata qui, è stata battezzata tra le nostre braccia. La famiglia è arrivata in Italia dopo aver viaggiato per giorni su un barcone fatiscente, con 4 bimbi piccoli a seguito. E’ stata un’emozione grande. Ci muoviamo anche attraverso la partecipazione di altre realtà come l’Acli, che tutte le mattine, raccoglie il pane invenduto nei forni romani per portalo al centro con l’iniziativa “Il pane a chi serve”».
di Carmela Cassese
video di Rosy Merola