la pazza gioia immagineROMA- Due donne. Due mondi opposti. In mezzo, la pazza gioia. Sembrerebbe la trama di un copione già visto e invece è l’ultimo, sorprendentemente umano film di Paolo Virzì, in collaborazione con Francesca Archibugi alla scrittura. “La pazza gioia”, nelle sale dal 17 Maggio, racconta le vicende di Beatrice Morandini (interpretata da Valeria Bruni Tedeschi) e Donatella Morelli (Micaela Ramazzotti), entrambe pazienti dell’istituto terapeutico per donne Villa Biondi. Eccentrica la prima e amante del lusso, mitomane a tratti eppure capace di una sensibilità preclusa ai sani di mente. Introversa la seconda, schiacciata da un passato che le ha cicatrizzato la voglia di vivere, lasciando in bella vista punti di sutura fatti di valium, silenzio e disamore.

Le due protagoniste sono state oggetto di sentenza da parte del tribunale che le ha condannate a una terapia di recupero. Durante la cura, i loro destini finiscono per intrecciarsi grazie al love bombing di Beatrice, la cui instancabile loquacità riesce a scardinare il muro di difesa eretto dalla fragilità di Donatella, interessata solo a ritrovare il figlio che ha perduto. Un giorno, approfittando di un disguido organizzativo, le due donne si allontanano dalla comunità e decidono di darsi alla pazza gioia; di riprendersi, per quanto possibile, quello che di buono la vita gli ha sottratto. Le seguiremo in numerose ed esilaranti avventure fra furti d’auto, cene non pagate e ruoli improvvisati su un set cinematografico: una mise en abyme a bordo di una Ferrari degna del migliore teatro shakesperiano. Ma proprio per questo, contraddistinta da una verità drammatica che con magistrale bravura la Ramazzotti e la Tedeschi portano sul grande schermo, al punto da tenere lo spettatore incollato minuto dopo minuto.

Il senso di rottura, le regole infrante, la pazza gioia che esplode in sorriso prima e in lacrime isteriche subito dopo, sono i testimoni di una particolare condizione: quella di donne che hanno commesso degli errori, che combattono contro le proprie patologie e che, abbandonate a se stesse, si ritrovano in mezzo a tante altre fino a non potere più separarsi. Si comprendono, incredibilmente, meglio di quanto potrebbe fare un medico; e remano contro corrente, ognuna a modo proprio, per cercare la felicità. Dolore, ironia e commozione fanno de “La pazza gioia” un cocktail di sensazioni non facili da mescolare e che a Paolo Virzì è riuscito benissimo, come se il suo sguardo si fosse soffermato sul mondo del gentil sesso da tempo immemore. Come se la gioia fosse sempre stata pura follia al femminile, e nessuno l’aveva intuito, sino ad oggi.

di Francesca Coppola

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