Se vogliamo salvare il pianeta, bisogna iniziare dal ridurre gli sprechi, partendo da quelli alimentari. Secondo la FAO, sono 1,6 miliardi le tonnellate di cibo che ogni anno finiscono nella pattumiera. Produciamo più di 4 milioni e mezzo di tonnellate di alimenti ogni anno in tutto il mondo, di questi, un terzo viene sprecato. Frutta, verdura e cereali quelli che più spesso finiscono al macero: 1.197 milioni di tonnellate di cereali prodotti ogni anno e circa 1.400 milioni di tonnellate di frutta e verdura, poco meno della metà del totale coltivato. Non fanno una fine migliore buona parte di tuberi, radici e legumi. Non si tratta solo di semplice, anche se non trascurabile, spreco domestico; un terzo della frutta e della verdura prodotta ogni anno viene, infatti, scartata per sole ragioni estetiche, prima di arrivare nella disponibilità del consumatore. Solo in Europa, 50 milioni di tonnellate di frutta e verdura vengono eliminate perché ritenute non conformi, per aspetto o per taglia. Un esempio tipico sono le banane: secondo un recente studio, è il frutto più scartato dagli scaffali dei supermercati a causa delle frequenti macchie presenti sulla buccia. Queste imperfezioni estetiche costano alla frutta un proporzionale calo del valore di mercato, perché considerate poco attraenti agli occhi dell’acquirente finale, portatore inconsapevole del paradigma pubblicitario del “ciò che è bello è sicuramente anche buono”, e che, quindi, preferirà un prodotto più uniforme nel colore e nell’aspetto. Pochi sanno che la buccia maculata delle banane è invece indice della maturità del frutto. Le banane mature, non saranno più belle a vedersi, ma contengono più potassio, vitamina B6 ed antiossidanti, oltre ad essere più digeribili e più buone. In virtù del principio dominante dell’estetica del cibo, ci ritroviamo a pagare il più delle volte un alimento per la sua bellezza esteriore, più che per la sua genuinità e per il suo gusto. La lotta contro lo spreco alimentare non si nutre solo della speranza di una più equa ridistribuzione del cibo, che vive nel paradosso della discriminante estetica a fronte di 800 milioni di persone che soffrono di fame e malnutrizione, ma si concentra anche sulle conseguenze ambientali che ne derivano. Il settore alimentare consuma il 30% dell’energia globale, emettendo il 22% di tutti i gas serra rilasciati nell’atmosfera. La produzione massiva, poco sostenibile per l’ambiente, è la maggiore responsabile della degradazione del suolo e dell’acqua. Centinaia di migliaia di tonnellate di prodotti fitosanitari vengono irrorati nei campi di tutto il mondo ogni anno. Di fronte a tutto questo, risulta ancora una volta determinante avere un approccio etico, ma soprattutto sapiente, nelle proprie scelte quotidiane, consci del fatto che è sempre il consumatore, con le sue preferenze, a indirizzare il mercato.

di Valerio Orfeo

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