_MG_4565BRUXELLES. Che l’attenzione verso le fasce sociali più deboli facciano bene alla crescita di un Paese è risaputo. Eppure l’Italia è fra i paesi dell’Ue con la più bassa spesa per le politiche sociali (al netto della spesa pensionistica che è fra le più alte in assoluto), ed anche, senza sorpresa, fra gli Stati membri meno capaci di ridurre il rischio di povertà per la propria popolazione fra 0 e 65 anni, secondo i dati del 2010. Lo rivela un grafico presentato dalla Commissione europea oggi a Bruxelles, con un pacchetto di rapporti e dati sugli investimenti pubblici nelle politiche sociali, visti come un fattore importante per la crescita economica. «Con queste analisi – ha detto durante una conferenza stampa il commissario per l’Occupazione e gli Affari sociali, Laszlo Andor, rispondendo a una domanda specifica proprio sulla situazione italiana – vogliamo dimostrare che spesso vengono stabilite false alternative (‘trade-off’, ndr), che in realtà non esistono» fra spesa sociale e crescita economica. «Vogliamo dimostrare – ha spiegato il commissario – che molta spesa sociale, specialmente quando è lungimirante, quando possiamo parlare di ‘investimento’ sociale, è molto produttiva dal punto di vista economico, e questo è ciò che le cifre mostrano». In Italia il numero delle persone a rischio di povertà o esclusione sociale è aumentato dai 15,099 milioni del 2008 ai 17,112 milioni del 2011 (il 28,2 della popolazione, rispetto a una media Ue del 24,2%). Un trend che rende più difficile conseguire l’obiettivo nazionale di una riduzione di 2,200 milioni di individui in quest’area, fissato dalla Strategia 2020 dell’Ue. Un grafico relativo al 2010 mostra che rispetto all’Italia solo due paesi Ue, Bulgaria e Grecia, hanno ridotto meno il rischio di povertà (ma con Atene che ha speso di più per le politiche sociali).

di Mirella D’Ambrosio

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