Ripensare il mondo carcerario, riflettere su come adottare misure alternative per una platea di detenuti a cui va garantito il reinserimento nella società. Cosa che, con le attuali condizioni negli istituti penitenziari e l’ordinamento giuridico in vigore, sovente rimangono al palo. Di questo, e non solo, s’è parlato nell’auditorium della Regione Campania all’isolato C3 del Centro Direzionale intitolato “Scegliere la libertà: carcere, misure alternative e magistratura di sorveglianza’’ presieduta dal Garante regionale delle persone private delle libertà Samuele Ciambriello con gli interventi di diversi rappresentanti del mondo forense, dell’autorità giudiziaria e carceraria.

Tema scomodo – Proprio Ciambriello nel suo intervento ha sottolineato come il carcere sia un «tema scomodo in termini di consenso politico» chiedendo perciò una «rinnovata attenzione politico-istituzionale verso l’intero pianeta carcere, per promuovere iniziative che riorganizzino l’amministrazione penitenziaria». I numeri, quelli freddi e inequivocabili, supportano l’appello del garante regionale dei detenuti. In Campania ci sono attualmente 6732 detenuti, di questi 366 donne, 917 stranieri e 152 in regime di semilibertà. «Le carceri del nostro Paese – la sottolineatura di Ciambriello – vivono uno stato di eccezione permanente da molti anni; complice di questo eterno ritorno è l’estensione ipertrofica dell’area penale che ha periodicamente aumentato gli ingressi e le permanenze nelle strutture detentive, nonostante la consistente diminuzione dei reati. Ci siamo dovuti confrontare con misure gattopardesche e rimaneggiate». A ciò va aggiunta l’assenza di un numero congruo di operatori, psicologi, psichiatri e agenti di polizia penitenziaria nelle carceri campane. A Poggioreale per circa 2600 detenuti ci sono solo 9 educatori e mancano mediatori culturali linguistici mentre in Campania le pratiche inevase rispetto alla carcerazione preventiva e all’eventuale accordo di una pena alternativa, sono 13000. Inoltre, l’aggiunta di Ciambriello, la «recidiva con le misure alternative scende al 21%» stando all’Uepe, l’Ufficio per l’esecuzione penale esterna. A lanciare l’allarme sui numeri spropositati in carcere e tutto ciò che ne consegue, anche Carmelo Cantone, provveditore ad interim dell’amministrazione penitenziaria della Campania. «La mancanza di risorse economiche, il sovraffollamento e l’assenza di personale sono frutto di scelte politiche. I tagli trasversali si notano di più perché i detenuti sono persone e non pacchi postali. Dal 2013 al 2017 – stando alle parole del provveditore Cantone – è stato ridotto di circa il 25% l’organico con la soglia che è stata fissata sulla Capienza ottimale dei detenuti e non di quanti detenuti effettivamente ci sono in un istituto penitenziario. Ci sono carceri in cui interi padiglioni di diversi piani sono sorvegliati anche da una sola persona e sono gli stessi detenuti a non condividere quest’andamento, preoccupati del mancato intervento in caso di emergenza. La vicenda epocale del Covid poteva essere una occasione per abbattere qualche totem come quello del 4 bis relativi ai reati di seconda fase, si doveva preparare l’alternativa al carcere, la dimissione. Non è accaduto» ha concluso il provveditore ad interim.

Il ruolo delle associazioni – Ma ammesso e non concesso che il Tribunale di Sorveglianza, pur compulsato, accetti di dare il via libera a una pena alternativa al detenuto, c’è penuria di associazioni, cooperative o strutture in grado di accogliere chi esce di prigione. A confermarlo Pietro Ioia, garante dei detenuti per il Comune di Napoli. «Le associazioni sul territorio che si occupano dei detenuti sono pochissime. Tante non ci aiutano forse perché non interessa la tutela dei carcerati». Le “mosche bianche’’ citate da Ioia sono, ad esempio nel quartiere Scampia, la cooperativa “L’Uomo e il Legno’’, l’Officina delle Culture Gelsomina Verde, la palestra di Gianni Maddaloni. Ancora Ioia: «Lancio l’appello alle associazioni a contribuire. Di recente ho parlato con delle forze dell’ordine e mi hanno messo al corrente di detenuti clochard che devono scontare pochi mesi, sarebbe meglio una pena alternativa con qualcuno che li possa accogliere. Spero che in futuro si facciano avanti più associazioni, le carceri sono strapiene, è un brutto periodo».

Don Franco Esposito – Non può essere tacciato di immobilismo nel conforto ai detenuti don Franco Esposito, cappellano della pastorale carceraria di Poggioreale e punto di riferimento della onlus Liberi di Volare. «Il tema fondamentale non è il problema del carcere, è il carcere che è un problema. Fa del male a chi sta dentro e anche alla società fuori perché produce recidiva. Queste persone devono essere accompagnate nel cammino della liberazione, ma in realtà diventa impossibile in questa istituzione che è contro l’uomo» il ragionamento di don Franco ricordando che «come chiesa di Napoli abbiamo realizzato all’esterno del carcere, con la nostra presenza a volte sterile di questo sistema, un segno con centinaia di detenuti con i quali abbiamo organizzato un cammino di reinserimento della società. La politica deve capire che si deve fare diversamente se si vuole raggiungere nel detenuto la vera coscienza del suo sbaglio e l’impegno a poter vivere una vita legale. Solo incontrando le realtà positive si può vivere in modo nuovo e questo non si può farlo in un carcere dove vengono tolte le libertà al movimento e a scoprire le potenzialità che sono dentro la persona. Il carcere uccide questa potenzialità: il vero carcere deve aiutare a scoprire il bene che alberga all’interno di ogni persona, invece ucciso dal carcere».

di Antonio Sabbatino

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