Palla-in-reteFIRENZE – Non è un triste sfotto’ razzista, ma è quanto stabilisce la Figc, Federazione Italiana Gioco Calcio, nel rispetto delle regole internazionali della Fifa, nell’intenzione di restare fedele alle leggi statali.
L’impedimento coinvolge, infatti, centinaia di bambini, molti nati anche in Italia, ma che sono figli di genitori extracomunitari senza un regolare permesso di soggiorno: tali ragazzini non hanno accesso alle competizioni regolamentari della Figc.
Come riportato dall’Agenzia Giornalistica Redattore Sociale, secondo la Federcalcio i genitori dei calciatori stranieri minorenni che richiedono il tesseramento per una società della Lega Nazionale Dilettanti, devono presentare «il certificato di residenza anagrafica attestante la residenza in Italia e il permesso di soggiorno che dovrà avere scadenza non anteriore al 31 gennaio dell’anno in cui termina la stagione sportiva per la quale il calciatore richiede il tesseramento».
Il suddetto regolamento della Figc, proprio per essere direttamente dipendente dalle regole internazionali della Fifa, non coinvolge soltanto i bambini e gli adolescenti figli di immigrati in Italia, ma anche in altri Paesi europei. Tale situazione, però, risulta essere una lampante discriminazione paradossale: dall’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, Alberto Guarisio mette in guardia: «La Figc nega il diritto allo sport dei minori, violando la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, secondo la quale nessun minore può essere trattato diversamente in relazione allo status giuridico dei genitori». Così come la scuola e la sanità non sono settori interdetti ai ragazzi figli di immigrati, allo stesso modo l’accesso alle pratiche sportive e ricreative dovrebbe essere libero per ciascun presenti in territorio italiano.
Come attesta la stessa Agenzia Redattore Sociale, la conflittualità tra il regolamento della Figc e la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo è una questione annosa, già presentata ai tribunali italiani: nel 2010, il Tribunale di Lodi aveva accolto il ricorso di un giocatore minorenne, proveniente dal Togo, a cui era stata negata la possibilità di prendere parte alle gare ufficiali. Le modalità di partecipazione allo sport e di accesso alle gare ufficiali devono essere dunque riviste, anche in un’ottica lavorativa, poiché l’attività sportiva potrebbe rappresentare per i ragazzi una futura possibilità lavorativa.

di C. D. P.

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