benessere

 
 
 
NAPOLI – Trent’anni fa nell’Italia del boom capitalista, dal guadagno di una persona era facile desumerne il suo tenore di vita ed il relativo benessere. Questo era possibile fintanto che l’Italia era ancora lontana dal fare i conti con la crisi economica, con i vari disastri ambientali ed ancora al riparo da una criminalità micro e macro che ormai spadroneggia ovunque. Nel tempo presente, invece, la qualità dei nostri giorni non dipende solo dal conto in banca.
IL NUOVO STUDIO – A sincerare questa inversione di tendenza nella misurazione del benessere individuale, ormai da anni sostenuta da alcuni economisti come Jeremy Rifkin, è uno studio congiunto condotto da Istat e Cnel che assieme hanno cercato di superare la definizione offerta dal dizionario alla voce “agiatezza” e che, a detta degli esperti,non può più trovare definizione in una generica sigla come PIL. Lo hanno fatto puntando su due nuovi concetti: equità e sostenibilità. Lo studio si concentra soprattutto ad indagare le ragioni che ci spingono a vivere bene. Oltre il benessere economico, sostengono i due enti, le ragioni, appunto, sono determinate dalle condizioni sociali ed ambientali od ancora legate alla sicurezza, così come all’istruzione, alla salute, alle relazioni sociali, al patrimonio culturale ed al funzionamento delle istituzioni. Tutti indicatori che, lontano dai soldi, sono in grado di stabilire la sostenibilità del benessere. Dall’indagine condotta sulle dodici dimensioni del benessere equo e sostenibile (sintetizzabile nell’acronimo “Bes” ndr) emergono dati decisamente interessanti.
I DATI – Ad esempio chi vive in una città della Campania, trascorre male il suo tempo libero serale visto che, stando ai dati, in questa regione nel 70% dei casi gli intervistati hanno dichiarato di aver timore ad uscire di casa al calare del sole. Questo implica che una persona con un guadagno modesto vivrà peggio la sua socialità rispetto ad un cittadino residente a Bolzano dove invece la quasi totalità degli intervistati dichiara di uscire nottetempo senza alcun timore, come anche in Basilicata che si posiziona al 4° posto tra le regioni più sicure d’Italia. Allo stesso modo, se in Italia l’aspettativa di vita si è allungata, di contro c’è che al Sud (39%) si vive meno che al Nord (56%). Stesso trend negativo anche in tema di occupazione con i giovani inattivi ma disponibili a lavorare che al Sud toccano quota 46,2% mentre al Nord ed al Centro sono fermi attorno al 25%. E, si sa, gli italiani considerano molto importante la sfera lavorativa per la propria realizzazione personale, ma «Cresce la percentuale di persone che svolgono lavori inadeguati al proprio livello di studio» precisa Linda Sabbadini dell’Istat, anche e soprattutto nella classe media. E se il lavoro e l’istruzione non vanno, neppure la cultura offre dati positivi visto che le regioni del Sud sono ultime nella classifica in materia di spesa per il patrimonio culturale.
IL PROGETTO – Intanto, la strada per comprendere a fondo la valutazione della qualità del nostro quotidiano è ancora lunga «Tra le sfide che ci attendono – conclude la Sabbadini – c’è quella di indurre la politica a valorizzare il benessere valutando i nostri risultati». Un tema, questo, su cui ha deciso di investire anche il Terzo Settore italiano al gran completo con in testa “Fondazione Con il Sud”, che ha da poco lanciato un questionario aperto (scaricabile su www.forumterzosettore.it). L’obiettivo è quello di individuare nuovi percorsi per creare valore economico e per definire cosa conta davvero nella vita di ciascuno. Insomma se fossimo noi ad avere a disposizione le risorse, come decideremmo di distribuirle? Non si tratta di un gioco, bensì di una scelta di responsabilità in linea con la saggezza popolare che da sempre recita: “i soldi non fanno la felicità”. E chissà che non sia vero.
di Luca Mattiucci 
estratto da Corriere Economia del 09 settembre 2013 

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui