Può sembrare la trama di uno spaventoso film apocalittico, ambientato in un lontano futuro distopico, terrificante al punto da superare la cognizione umana del ponderabile, invece è il quadro d’insieme che viene evidenziato continuamente dai tanti reports che istituti, enti, centri studi e università sviluppano sui rischi, già macroscopicamente evidenti, dei cambiamenti climatici. L’ultimo spunto di riflessione ci arriva in questi giorni da WeWorld, organizzazione non governativa italiana che si occupa, mediante progetti di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario, di garantire i diritti delle madri e dei giovani delle comunità locali di 27 Paesi. WeWorld pubblica annualmente un report sulle condizioni di vita, l’accesso alle risorse, al lavoro, all’istruzione e alla salute delle donne e dei bambini di 170 Nazioni, il WeWorld Index. Secondo lo studio, a causa dei cambiamenti climatici, sarebbero 150 milioni le persone a rischio umanitario che entro il 2030 si troveranno a poter contare sui soli aiuti umanitari, un terzo in più rispetto ad oggi. 435 milioni di ragazze e giovani donne si troveranno sotto la soglia di povertà, quando già oggi 258 milioni di bambini non ricevono un’istruzione adeguata, che li prepari al futuro. La crisi climatica, in quanto catalizzatore di eventi catastrofici, favorisce l’inasprimento delle condizioni già precarie di milioni di persone nel mondo che, in molti casi, si trovano a dover fare i conti con scenari catastrofici irreversibili.

Lo spiega con chiarezza il report 2021 sui cambiamenti climatici dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), il comitato di esperti dei 195 governi dell’Onu, fondato nel 1988 per studiare e informare il Mondo delle minacce della crisi climatica in corso. Per la sua sesta pubblicazione, sono stati analizzati oltre 14000 articoli scientifici, pubblicati, negli 8 anni intercorsi dall’ultimo report, su riviste internazionali. Le conclusioni parlano di “Codice rosso”: la situazione risulta persino più grave rispetto alle precedenti previsioni, in quanto molti effetti dell’aumento di 1°C, avvenuto negli ultimi 10 anni, sono diventati già irreversibili. Con il termine “Irreversibile”, il comitato scientifico ha voluto intendere l’impossibilità sopraggiunta di non poter invertire il processo, e quindi evitarne le conseguenze, per centinaia o migliaia di anni. Irreversibile è lo scioglimento dei ghiacci artici e il conseguente aumento del livello del mare. Irreversibile è il processo di acidificazione degli oceani, causato dalla trasformazione di un quarto della CO2 presente in atmosfera in acido carbonico (H2CO3). Irreversibili, sono dunque le condizioni di vita delle popolazioni che questi cambiamenti li stanno già subendo.

Il rapporto aggiornato dell’IPCC può vantare, rispetto al precedente, una attenta analisi dei fenomeni che hanno interessato il Pianeta nell’ultimo decennio, e che hanno notevolmente accresciuto le conoscenze della comunità scientifica, impegnata a studiare i cambiamenti climatici. I modelli previsionali, che hanno generato, parlano di un aumento delle temperature di oltre 1,5°C entro il 2030, 10 anni prima dell’ultima previsione. Inizialmente, l’aumento complessivo di 2,5°C, (0,5°C oltre il limite massimo stabilito dalla Conferenza sul Clima di Parigi del 2015) era stato previsto per fine secolo. Le motivazioni dell’aggravamento dei modelli previsionali sono da ricondursi a molteplici fattori, tra i quali, un maggiore studio dei “Punti di rottura non lineari” e degli effetti da essi provocati, e del “Carbon feedback”, per il quale processo, la Terra amplificherebbe i cambiamenti climatici antropogenici in negativo. Il nuovo report conferma anche l’indiscutibile influenza umana sull’aumento delle temperature globali, dalle quali conseguenze non vi è Paese al Mondo che può ritenersi al sicuro. La concentrazione di anidride carbonica è la più alta registrata in 2 milioni di anni. Questa ha causato una diminuzione dei ghiacci artici senza precedenti negli ultimi 2000 anni, che a sua volta ha generato il più veloce aumento del livello dei mari degli ultimi 3000 anni. Argomentazioni scientifiche dai toni allarmanti, che però non sembrano far breccia nella volontà di chi ci rappresenta e decide, quanto mai prima nella storia umana, le sorti dell’avvenire del pianeta, quando siamo giunti, ormai, alla vigilia della sesta estinzione di massa. “Non ci sono grandi sorprese nel nuovo rapporto dell’IPCC. Conferma quello che già sappiamo da migliaia di precedenti studi e reports: che siamo in emergenza” ha commentato Greta Thunberg, che invita tutti a fare scelte individuali coraggiose per contribuire alla lotta ai cambiamenti climatici, visto che il tempo di attuare politiche globali sta finendo. La giovane attivista svedese è sicura che l’impegno quotidiano può essere, nell’immediato, molto più efficace delle risoluzioni politiche, e che si può fare la propria parte, anche solo con le piccole scelte di tutti i giorni. Si può scegliere un consumo più etico; preferire cibi non imballati o usare i trasporti pubblici; scegliere prodotti locali a discapito di quelli che hanno percorso migliaia di chilometri in aereo o in nave; evitare, quando possibile, i consumi superflui, e non solo di tipo energetico ma indumenti o oggetti destinati a creare solo altro rifiuto, la cui produzione contribuisce a generare inquinamento. Insomma, la crisi climatica sta toccando tutti noi, il clima continuerà a cambiare, come le nostre vite; l’interesse che questo avvenga nel modo meno catastrofico possibile dipende da quello che facciamo oggi e non più da quello che potremmo fare domani. I numerosi e preziosi modelli previsionali che ci giungono dalla comunità scientifica, in conclusione, lanciano a tutti noi un segnale di pericolo incontrovertibile che, secondo molti, non è stato ancora pienamente recepito. “Non si può trattare una crisi come se non fosse una crisi” ha aggiunto Greta. “Inevitabile” e “irreversibile”, d’altro canto, sono aggettivi che lasciano ben poco spazio ad interpretazioni.

di Valerio Orfeo

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