L’orrore della guerra è spesso disegnato sui volti fragili e negli occhi innocenti dei bambini che ne subiscono spesso le peggiori conseguenze. Ed è così anche per quelli costretti a lasciare l’Ucraina dopo l’invasione della Russia cominciata il 24 febbraio. Nell’ultimo corteo della comunità ucraina di Napoli tenutosi domenica mattina nei giorni di nuovi massicci bombardamenti russi su tutte le aree del Paese attaccato, con partenza da piazza Garibaldi e l’arrivo in piazza del Municipio, a guidare le oltre 500 persone in marcia è proprio una porzione delle decine e decine di piccini tra i 5 e i 12 anni riparati nel capoluogo partenopeo e ora studenti ai Salesiani di via Don Bosco.

I bambini e i disegni – I ragazzi, che scherzano tra loro, giocano con i palloncini e sorridono, indossano la maglietta della pace. In occasione del corteo hanno realizzato anche uno striscione, con l’aiuto degli insegnanti madrelingua, che raffigura Vladimir Putin intento a prendersi la nazione Ucraina con le proprie mani. Insieme agli adulti cantano lo “Šče ne vmerla Ukraïnym’’, l’inno nazionale. Lyudmyla Balan, la loro insegnante d’arte – di origine moldava ma sposata con ucraino rimasto in Patria insieme ad altri parenti a Leopoli – spiega: «Questi bambini che abbiamo ai Salesiani del Don Bosco cerchiamo di farli sentire in tutti i modi a casa. Molti sono arrivati senza i genitori perché rimasti nelle città ucraine a combattere o impegnati come volontari nella Croce Rossa. In classe arrivano piangendo e vanno via sorridenti grazie all’arte e questo fa bene al cuore». Non tutti però hanno davvero superato il trauma dei bombardamenti e delle lunghe attese nei rifugi o anche del lungo viaggio sino all’Italia. E la professoressa Balan lo conferma attraverso un riferimento preciso. «Qualcuno porta ancora i segni dell’orrore della guerra, c’è chi oggi continua a camminare a testa bassa ed è distratto perché ha subito dei traumi. A dimostrarlo sono anche i disegni che fanno con colori scuri e non i colori dell’arcobaleno».

La solidarietà –Già dai primi giorni dopo lo scoppio del conflitto, la rete di solidarietà italiana è stata notevole. Ora non è il caso di fermarsi, visto che s’approssima in Ucraina il rigido inverno con temperature che arrivano anche a -20 gradi. «La gente qui in Italia ci è ancora vicina, i datori di lavoro italiani continuano a sostenere gli ucraini e capiscono cosa ci sta succedendo» afferma Roxsolana Dragun Magras, che vive in Italia da tanti anni e alla testa del corteo di ieri a Napoli. Il suo appello al buon cuore è accorato. «Abbiamo bisogno di medicine e vestiti, soprattutto per i bambini: l’inverno sarà duro. L’Ucraina vuole essere libera, non bisogna avere paura di Putin e del suo ricatto del gas, dell’energia e dell’utilizzo della bomba atomica. Meglio mangiare pane e acqua ma essere liberi, tutti dobbiamo contrastare Putin di cui non ci si può fidare». Roxsolana sposta la discussione su un terreno politico. «Ho tanti amici d’origine russa a Zaporizha, Donesk, Lugansk che non sono d’accordo con la sua politica e anche tanti ucraini che non vogliono lasciare la propria terra per aiutare l’Ucraina. L’assassino Putin perderà e il nostro presidente Zelensky fa bene a non trattare. La Russia deve ritirarsi entro i confini che c’erano sino al 23 febbraio prima dell’occupazione, andarsene dal Donbass dove ha cominciato sempre lui la guerra nel 2014 e dalla Crimea che è ucraina. Quelle sono tutte terre ucraine. Speriamo – chiosa – che anche il nuovo il governo italiano ci aiuti con rifornimenti soldati, armi e chiedendo che vengano chiusi i cieli per evitare bombardamenti». Sergii Davydiuk vive a Napoli da 22 anni, ma ancora parenti e conoscenti in Ucraina parte dei quali uccisi nel corso dei bombardamenti di questi mesi, ci tiene a «ringraziare i napoletani e gli italiani che ci stanno aiutando. I primi giorni abbiamo mandato 4 tir di aiuti da Napoli e io con il mio furgone ho raccolto viveri poi trasferiti in Ucraini». Anche lui lancia l’appello affinché la donazione di «indumenti e altri viveri, soprattutto per i bambini rimasti orfani, non si fermi, oltre ad aiuti militari. Lì non ci sono lavatrici e quindi la roba sporca deve essere buttata e c’è bisogno di un ricambio». Sergii ce l’ha con i russi e non lo nasconde. «Chi non vuole combattere è fuggito per paura invece di contrastare Putin. Un milione e mezzo di persone che hanno varcato le frontiere e i 300.000 uomini coinvolti nella mobilitazione parziale sono sufficienti a rovesciare il governo. La verità – conclude – è che l’80% si fida di Putin e delle sue azioni».

La storia di Natalia Dolinska – Natalia Dolinska vive in Italia dalla scorsa estate, ospite di conoscenti a Bagnoli che l’hanno convinta a lasciare l’Ucraina in fiamme dopo molte insistenze. La sua storia è dolorosa, da raccontare e ascoltare. Il suo unico figlio, Aleksander 40enne impegnato nel settore immobiliare, è stato ucciso dalle truppe occupanti russe a Irpin lo scorso marzo nel pieno della furia delle truppe mandare dal Cremlino in questa zona dell’Ucraina non lontana da Kiev. «Aleksander – dice Natalia piangendo a dirotto – non era un combattente. Quando gli orchi russi sono arrivati con i carri armati a Irpin, lui ha cercato di mettersi in salvo recuperando me, i suoi due figli e la moglie prima di fuggire. Mentre era in auto, però, i soldati l’hanno arrestato nonostante avesse detto di essere un civile. È stato anche picchiato». La sparizione di Aleksander è equivalsa a un addio senza possibilità di essere pronunciato. Natalia si rituffa nel racconto straziante. «Per un mese sono andata in giro con un asciugamano bianco (per non essere scambiata per combattente ndr.) a cercare Aleksander senza però trovarlo. Ad aprile, quando l’esercito ucraino ha cacciato i russi, abbiamo scoperto il suo corpo senza vita sotto una coltre di spazzatura con le mani legate. Sono stato vicino al posto dove era sepolto, nonostante la nostra casa fosse oramai distrutta per tre mesi. Non volevo staccarmene. Poi sono stata convinta a venire qui». Ma il tempo per Natalia sembra essersi fermato a quel mese di marzo, quando la violenza della guerra e delle azioni russe ha raggiunto sino a questo momento forse il mefistofelico apice.

di Antonio Sabbatino

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