Lavora a Gaza da venti anni Meri Calvelli. O meglio, ci lavorava, perché a partire dal 7 ottobre 2023, nonostante tutti gli sforzi, entrare nella Striscia è impossibile.
Cooperante della Ong “ACS Italia” (Associazione di Cooperazione e Solidarietà in Palestina) e direttrice del Centro Italo-palestinese di Scambio Culturale VIK, si è fatta promotrice e coordinatrice di decine e decine di progetti. Centinaia di ragazze e ragazzi italiani hanno potuto partecipare a scambi culturali dentro Gaza e molti giovani gazawi, a loro volta, hanno avuto la possibilità di viaggiare, studiare e formarsi in Italia per poi rientrare a casa.
L’istituto “Vik”, il cui nome nasce come omaggio all’attivista italiano Vittorio Arrigoni, ucciso nella Striscia nel 2011, opera come centro di coordinamento di molteplici attività di scambio culturale con diverse associazioni italiane. Entrare e uscire da Gaza non era facile neanche prima del 7 ottobre. Anzi, senza una struttura che garantisse e lavorasse dall’interno per ottenere i permessi, l’impresa diventava spesso impossibile.
Il 27 dicembre 2023 sarebbero dovuti entrare nella Striscia 150 tra ragazzi e ragazze, la maggior parte italiani. “Avevamo già preparato le strutture per l’accoglienza e l’intero programma. Ma dopo il 7 ottobre si è chiusa ogni possibilità per le attività associative e i nostri progetti esistenti sono terminati”.
Le iniziative del centro culturale Vik erano rivolte ai giovani, alle donne, alle associazioni che facevano animazione educativa formale e non formale. L’approccio è sempre stato quello dello scambio, anche nella formazione, non c’è mai stata una imposizione dei programmi. Tantissime le attività sportive, come quelle circensi per le ragazze e il progetto “Gaza FREEstyle”, che a dicembre 2024 avrebbe spento la decima candelina.
Non sono certo mai mancate le difficoltà in questi anni. Proporre progetti sportivi dedicati ai giovani e alle donne di Gaza era diventato più complicato ultimamente. Lo skatepark del “Gaza FREEstyle” ad esempio, che era diventato un luogo vivo e abitato quotidianamente da centinaia di ragazzi e ragazze, è stato distrutto da Hamas a maggio 2023. “Non erano programmi di emergenza o di aiuto ma si trattava di attività che la popolazione giovanile richiedeva. Utili alla crescita sociale ma anche alla salute psicologica”.
ACS invece, è una delle Ong italiane presenti in tutta la Palestina, a Gaza ma anche in Cisgiordania. La maggior parte dei progetti si occupano di agricoltura, di sicurezza e emergenza alimentare. Nella Striscia i cooperanti e i volontari lavoravano insieme ai comitati degli agricoltori per costruire e portare avanti orti domestici. I beneficiari erano tutti coloro che avevano un pezzo di terreno inutilizzato accanto alle proprie abitazioni. Le attività si occupavano anche dell’allevamento, che insieme all’agricoltura e alla pesca è un’altra delle attività lavorative storicamente presenti a Gaza.
Uno degli ultimi progetti prevedeva la distribuzione di capre a una cooperativa di donne che si sarebbero occupate della produzione e della trasformazione del latte, più digeribile rispetto a quello di mucca. Un progetto sperimentale che non ha fatto in tempo a partire.
La cooperazione italiana finanziava anche programmi di gestione di rifiuti e di bonifica dei terreni, entrambi problemi molto importanti all’interno della Striscia. Le discariche troppo vicine alle abitazioni venivano chiuse o allontanate e al loro posto si piantavano alberi e altra vegetazione. Si tratta di progetti che intendevano risanare l’area nord di Gaza, quella che oggi risulta completamente distrutta dai bombardamenti a tappeto e dalle demolizioni operate dall’esercito israeliano.
“Quell’area – ci spiega Meri – era stata già in parte ricostruita dopo l’attacco israeliano del 2014, alcune case erano state rimesse in piedi dalla cooperazione italiana, con un piano regolatore preparato insieme alle municipalità. Come tutte o quasi le altre, anche le abitazioni da noi ricostruite sono state oggi completamente distrutte”. E di molte altre costruzioni non hanno notizie: “Non sappiamo che fine abbiano fatto numerose strutture, c’era anche uno stabile dedicato alle attività dei bambini e delle donne. Poco prima dell’attacco avevamo installato i dissalatori negli istituti scolastici e nei parchi, per permettere alle persone di rifornirsi di acqua potabile, perché nelle case arrivava salata”.
La situazione nella Striscia era in effetti molto difficile già prima del 7 ottobre: le frontiere continuavano ad essere chiuse e controllate da Israele, mancava il lavoro, l’elettricità era disponibile solo poche ore al giorno, il sistema fognario spesso non funzionava oppure veniva danneggiato dai bombardamenti. I permessi per lavorare fuori Gaza e quelli per far entrare o uscire le merci erano sempre a discrezione delle autorità israeliane. “Io lavoro dentro Gaza da venti anni ed enormi distruzioni ci sono state anche in passato, tra le ultime l’attacco del 2014 e Piombo Fuso. Ma questa è senza precedenti. Gaza è una Ground Zero”.
Dunque, i progetti sono di colpo terminati. Rimaneva l’emergenza e ACS l’ha gestita fin dalle prime settimane coordinando dall’Italia i volontari e lo staff palestinese rimasto dentro Gaza. Attraverso campagne di crowdfunding sono riusciti a inviare soldi allo staff perché li distribuissero come cash assistance alla popolazione.
Hanno coordinato una rete di contadini perché potessero raccogliere e distribuire i prodotti cresciuti negli orti e in alcuni campi. Hanno distribuito acqua e cibo. Insieme ad altre Ong hanno raccolto beni di prima necessità e organizzato container di aiuti umanitari. Ma l’ingresso dei camion non è stato garantito dalle autorità israeliane che anzi continuano a ostacolarlo, come denunciato più volte anche dalle Nazioni Unite.
“L’intento di noi operatori era ed è quello di entrare il prima possibile per dare una mano e dal primo momento abbiamo tutti chiesto a gran voce il cessate il fuoco”. Lavorare nelle condizioni attuali è estremamente difficile per le associazioni. Basti pensare che i fondi raccolti non possono che essere versati direttamente sui conti personali dei volontari e solo in quelle poche banche rimaste operative dentro la Striscia. Non solo, le somme devono rimanere minime, per evitare che gli istituti blocchino i conti, come tantissime volte è successo. I cooperanti palestinesi di ACS oggi organizzano dentro Gaza la distribuzione del cibo alle famiglie che non hanno più nulla da mangiare: i livelli di fame, malnutrizione, povertà, sono diventati estremi. Alcuni ragazzi e ragazze che grazie alla ong erano venuti in Italia per formarsi come cuochi stanno ora cucinando per centinaia di persone indigenti, quotidianamente, grazie ai fondi raccolti dall’associazione (quelli dei progetti europei e italiani al momento sono stati bloccati).
Anche internet può diventare un bene primario quando rappresenta l’unica possibilità per mettersi in contatto con i propri cari o con il resto del mondo. Per questo motivo l’organizzazione italiana ha acquistato e distribuito numerose e-sim che sono diventate router wifi aperti, segnalati e disponibili gratuitamente per la popolazione.
Meri tornerà a Gaza appena sarà possibile, così come tanti altri cooperanti, tutti pronti a ripartire, per l’ennesima volta, da zero.
Di Eliana Riva