Un evento tragico, ancora oggi spesso relegato nell’oblio. Una strage che provocò 16 morti e 267 feriti pensata e messa in atto da un intreccio tra Mafia, apparati deviati dei servizi segreti, destra eversiva, massoneria. Il 23 dicembre 1984, alle ore 19.08 nella Grande Galleria dell’Appennino, nei pressi della stazione di San Benedetto Val di Sambro, una terribile esplosione causata da una carica di esplosivo radiocomandata distrusse il treno rapido 904 partito da Napoli e diretto a Milano. A bordo, tantissimi passeggeri in procinto di ricongiungersi con i familiari al Nord per trascorrere le imminenti festività natalizie. Nel marzo del 1990, dopo vari processi, la Corte d’Appello di Firenze confermò le condanne all’ergastolo come quella del mafioso Pippo Calò e per il suo braccio destro a Roma Guido Cercola. Nonostante la verità processuale, le ragioni alla base della tragedia del Rapido 904 sono ancora da decifrare nella sua interezza. Per tenere viva la memoria, la Fondazione Polis ha organizzato presso la chiesa dei S.S. Marcellino e Festo della Federico II, a largo San Marcellino, il convegno “Quarant’anni dalla strage sul treno rapido 904 tra mafie, terrorismo eversivo e poteri deviati’’ con docenti universitari ed esponenti istituzionali con il dibattito moderato dal giornalista Marco Damilano alla presenza di diversi alunni delle scuole di Napoli.

Gli interventi

Il professor Alexander Hobel, docente di Storia Contemporanea all’università di Sassari e autore del libro “La Strage del Rapido 904, un contributo alla Ricostruzione Storica’’, parla di «strage anomala, particolare a metà strada tra le vecchie stragi della strategia della tensione che ha utilizzato anche le bombe sui treni e le nuove stragi di mafia degli anni ’90 che hanno insanguinato il Paese. È giusto parlarne, anche in virtù delle nuove inchieste della magistratura della Procura di Firenze per andare più a fondo sulla vicenda che ha posto le basi per la trasformazione del Paese, che si accingeva a passare dalla prima alla Seconda Repubblica». Il professor Hobel ricorda cosa accadeva a metà degli anni ’80 per cercare di trovare una spiegazione alla strage del Rapido 904. «Era un periodo in cui il mafioso Tommaso Buscetta stava facendo delle rivelazioni clamorose, quindi gli arresti si contavano a centinaia e nel frattempo il giudice Felice Casson stava facendo indagini che lo porteranno a scoprire Gladio, la rete italiana di “Stay Behind’’ e nel frattempo era venuto fuori lo scandalo della loggia massonica P2. C’entra la Mafia certamente – conclude il professore – ma c’è anche l’intreccio tra settori della destra eversiva, settori deviati dei nostri Servizi Segreti, apparati poco trasparenti: questo stava cominciare a emergere e questa strage forse era un segnale per tentare di mettere uno stop a questo processo e percorso». Anche il giornalista Marco Damilano si sofferma sulle «16 vittime che sono state dimenticate. Nel 1984 la strategia della tensione degli anni ’70, quella partita da piazza Fontana del dicembre del 1969, proseguita con Brescia e con l’Italicus del 1974 e alla stazione di Bologna del 1980 sembrava finita e invece questa strage è l’ultima di questa serie e la prima di un’altra serie – questa l’abbiamo saputo dopo –  delle stragi del 1992-93 di eversione mafiosa, di terrorismo mafioso-politico». Damilano va indietro con la memoria a quei giorni: «Io avevo 15 anni ma ricordo la mia angoscia dopo l’esplosione della bomba e ricordo gli anni successivi quando i treni su cui viaggiavo passavano nella frazione di San Benedetto Val di Sambro, dove poi il relitto del treno fu portato sotto la neve e fare quel percorso e significava farlo in un percorso di memoria. Le nuove generazioni non lo ricordano perché non l’hanno vissuto e noi dobbiamo tramandare l’impegno di giornalisti, magistrati, politici, insegnanti, preti che si sono battuti in questi quarant’anni affinché la memoria non fosse cancellata. E lo devono fare le istituzioni, giornalisti, il Comune, la Regione e a maggior ragione lo Stato». Damilano racconta un particolare per porre l’attenzione sulla matrice delle stragi come quelle del Rapido 904. «Mi hanno colpito le immagini dei feriti che avanzavano nella galleria al buio, con fumo, le schegge, i vetri, il sangue. Sono testimonianze simili a quelle che ci hanno riportato i sopravvissuti degli attacchi terroristici in Europa degli anni scorsi di matrice jihadista. Ma noi abbiamo avuto un terrorismo interno. Erano tutti italiani quelli che hanno programmato, pianificato e realizzato queste stragi».

L’importanza della memoria

Don Tonino Palmese, presidente della Fondazione Polis ravvisa come vi sia «la tentazione e il pericolo dell’oblio, dietro l’angolo. Abbiamo una peculiarità come Fondazione: tenere unite le vittime come comunità in modo che il dolore dell’uno possa essere condiviso dagli altri e sostenere il cammino della ricerca della verità, di giustizia e il riconoscimento per tutte le vittime la dignità che meritano di avere. La nostra fondazione non può non incrociare e non può non sostenere le ragioni della memoria». In proposito Rosaria Manzo, presidente dell’Associazione tra i familiari delle Vittime della Strage sul Treno Rapido 904 e vicepresidente Fondazione Polis ribadisce: «La memoria non può esserci se non c’è conoscenza e quindi le giornate di incontro servono a preparare gli studenti e la società civile a conoscere la storia, che non è semplicemente solo quella dei familiari delle vittime e dei superstiti ma è un pezzo di storia del nostro Paese. C’è ancora tantissimo da dire. Sappiamo cosa sia successo, ossia una bomba fatta esplodere all’interno del treno per colpire le persone normali, comuni con la volontà di distogliere l’attenzione dal Maxiprocesso di Mafia. È il punto base da cui si parte ma chi ha davvero voluto questa strage, chi sono i mandanti? È impossibile che una manciata di persone abbia deciso la sorte di un Paese intero». Infine l’assessore regionale alla Formazione, Armida Filippelli. «È un momento che noi non possiamo permetterci di dimenticare i morti del Rapido 904. La legalità e la memoria sono fondamentali per la nostra democrazia, soprattutto per i ragazzi. Questi valori non devono mai essere persi per fare anticorpi sociali e politici».

di Antonio Sabbatino

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