Lo zaino mezzo vuoto e i quadernoni fitti di appunti, il libretto degli esami sempre più pieno e consunto, le ore sui libri e le cinque, dieci, venti notti prima dell’esame. E poi il coronamento di un percorso lungo, avvincente, a volte stancante, l’ansia per il “e domani cosa succederà?”. È la sintesi del percorso universitario di chi ce la fa a laurearsi, ed è un percorso uguale, identico e preciso per tutti, un percorso che va al di là dell’età, dell’estrazione sociale di provenienza, e soprattutto del passato, perché un numero di matricola è semplicemente un numero di matricola, e uno studente è semplicemente uno studente, anche quando gli studi vengono fatti in carcere, anche quando la seduta di laurea si svolge, oltre che in mezzo a relatori e familiari, anche in mezzo a guardie e sorveglianti, anche quando il pranzo per la festa di laurea si sviluppa non in un locale alla moda ma al tavolo di un istituto penitenziario.
Luigi – il nome è chiaramente di fantasia – è il primo studente che ha conseguito la laurea in Scienze Gastronomiche Mediterranee del Dipartimento di Agraria – Polo Universitario Penitenziario dell’Università Federico II. Il primo di questo corso e il sesto in generale, dopo l’apertura del Polo all’interno della Casa Circondariale di Secondigliano, nel 2019, immediatamente prima della pandemia, e certamente non l’ultimo.
I NUMERI – Luigi e gli altri 5 laureati in altre discipline sono i primi frutti raccolti da una semina iniziata qualche tempo fa e che oggi conta ben 86 studenti – tra questi 3 donne – distribuiti nel vari corsi di laurea, da Sociologia ad Architettura, da Scienze Politiche ad, appunto, Scienze Gastronomiche, il corso più scelto che conta 23 studenti, tutti dai 30 ai 60 anni.
«La laurea di un detenuto – fanno sapere dal Dipartimento di Agraria della Federico II, per voce del direttore Danilo Ercolini – apre a profonde riflessioni. Indipendentemente dal momento che si sta vivendo, avere un obiettivo fa la differenza. Scegliere di studiare in carcere non è solo un atto di volontà, ma un segnale di rinascita e integrazione, un ponte verso nuove opportunità».
Il neolaureato ha discusso delle proprietà del pomodoro trasformato, tema del suo elaborato. E la voce della docente relatrice non è certo meno soddisfatta: « È davvero bello essere parte di tutto questo – sottolinea la professoressa Maria Manuela Rigano – contribuire in qualche modo al riscatto di una persona alla quale la vita offre un’opportunità in un momento complicato. Assistere al cambiamento, alla crescita culturale dove cultura è futuro, è qualcosa che arricchisce non solo gli studenti, ma anche noi docenti. In questo senso trova pienamente significato il concetto di carcere come strumento rieducativo, cancellando l’idea del carcere come punizione. Il senso del carcere è la riabilitazione dell’individuo».
SLIDING DOORS: NEL CARCERE LE OPPORTUNITÀ – Nella vita di ognuno esistono dei bivi, delle sliding doors che una volta varcate determinano il destino. E se ad aprirsi è la porta di una cella quel destino sembra inevitabilmente segnato. La forza e la voglia di riscatto, a volte, possono davvero trasformare la strada sbagliata in una via da percorrere per dare un nuovo senso alla propria vita. Di più. Paradossalmente il detenuto che in carcere trova la strada per il proprio futuro, che si accosta agli studi proprio perché lontano da quel contesto sociale che era stato, se non causa, comunque testimone delle vicende che avevano fatto sì che le porte del carcere si aprissero, riesce ad avviare gli studi proprio in virtù di questa detenzione. Come a dire: da libero non avrei mai pensato di poter studiare, adesso la vita mi sta offrendo un’opportunità.
I CORSI, I LABORATORI, I COLLOQUI CON LE FAMIGLIE – Il Polo universitario penitenziario è dentro il carcere, ed è al momento destinato a due settori, IONIO, ad alta sicurezza, e MEDITERRANEO, a media sicurezza. I docenti di Agraria due o tre volte a settimana si spostano da Portici, luogo dove sorge il Dipartimento, per recarsi a fare lezione a Secondigliano. Le lezioni avvengono esattamente come fuori, con tanto di laboratori dedicati ai vari corsi di studio. «Abbiamo attivato dei corner di allevamento di zafferano – continua a spiegare la dottoressa Rigano – gli studenti sono supportati da chef che insegnano loro il lavoro da un punto di vista pratico, sono stati effettuati dei tirocini grazie al supporto dell’ASL, che ha attivato il praticantato tramite la farmacia interna al carcere». Probabilmente l’aspetto più bello è però un altro: in carcere arrivano altri studenti, tirocinanti, liberi, che affiancano gli studenti detenuti nel percorso verso la laurea. In questo modo la ricchezza dell’opportunità è davvero condivisa da tutti: docenti, detenuti, studenti, ma anche dai sorveglianti, e da tutti coloro che sono parte attiva in questo progetto, in primis dalla direttrice del carcere, Giulia Russo.
IL FUTURO – Lo studente laureato, una volta libero, è esattamente uguale a chiunque altro abbia avuto all’esterno la medesima opportunità. Luigi ha già ricevuto una proposta di lavoro. La libertà è quasi raggiunta, dovendo scontare ancora qualche mese. Ma il futuro, così, è certamente più roseo e anche più vicino. Per Luigi, per i suoi figli, per l’intera comunità.
di Nadia Labriola