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NAPOLI –  “Insegnanti senza frontiere” (Insef) è una onlus senza scopi di lucro che nasce a Napoli nel luglio 2009 grazie ad un gruppo di docenti sulla soglia della pensione, desiderosi di mettere a disposizione dei migranti le competenze già spese nella loro attività professionale. Dopo sette anni l’associazione riflette su di se e sulla gestione dell’”emergenza” profughi.

LE LEZIONI – Vanno dove c’è più bisogno: le porte degli insegnanti senza frontiere sono aperte a tutti con o senza permesso di soggiorno. Dagli alberghi dell’ “emergenza”, a Castelvolturno, alle carceri, ai Quartieri Spagnoli l’insegnamento dell’italiano è un impegno volontario e appassionato.
Da ottobre fanno lezione stabilmente nell’ex Asilo Filangieri.  All’ultimo piano del palazzo liberato le aule sono dedicate a loro: migranti, spesso richiedenti asilo, che vogliono apprendere l’italiano e forse ancor di più hanno bisogno di incontrare un volto amico nel contesto spersonalizzante dell’accoglienza istituzionale.
Le lezioni si tengono tutte le mattine dal lunedì al venerdì con 4 tipologie di corsi: alfabetizzazione, pre-1, livello 1 e livello 2 tenuti da giovani insegnanti di italiano L2 e dalle docenti fondatrici che hanno scelto di dedicare il tempo della loro pensione al prossimo. Grazie ad un accordo con tre CPIA (strutture autonome del Ministero dell’Istruzione che realizzano un’offerta formativa per adulti e giovani adulti e che certificano i corsi di lingua) i ragazzi iscritti possono fare l’esame gratis, mentre grazie ad un protocollo stipulato con l’Università di Siena l’esame in sede è riconosciuto (anche se in questo caso le spese per gli allievi sono sostenute da Insef).
A Mariella Masucci, presidente dell’associazione, brillano gli occhi mentre racconta: «Siamo insegnanti non pentiti, che dopo tanti anni credono ancora nella funzione dell’insegnamento. In 15 soci fondatori riuscimmo ad organizzare velocemente dei corsi in città presso il Cidis. Stringemmo contatto con la comunità dei rifugiati politici costituiti in gran parte da burkinabè. Molti erano insegnanti fuggiti a causa della dittatura così attuammo uno scambio “in natura”: loro ci insegnavano il francese e noi insegnavamo loro l’italiano. Fu molto interessante confrontarci sui diversi sistemi didattici e organizzare feste e scambi culturali».

NELL’ASILO – Dopo la chiusura del Cidis gli insegnanti sono stati ospitati dal Foqus dove tuttora tengono corsi di italiano per ucraini, russi e cingalesi. Nel 2015 l’assessore all’istruzione del Comune di Napoli, Annamaria Palmieri, ha suggerito l’ex Asilo Filangieri come spazio per le lezioni e l’associazione, dopo aver preso parte ad assemblee e tavoli tematici, ha avviato all’Asilo le proprie attività, partecipando all’esperienza di autogoverno avviata da 4 anni da lavoratori dello spettacolo e della cultura
Nell’ex Asilo sono partiti in 60, ma solo una ventina arriveranno a fine anno e gli insef contano di portarli tutti all’esame.
«La criticità che condividiamo con tante altre associazioni che si occupano di migranti – spiega la presidente dell’Insef – è che gli allievi sono discontinui. Se emerge l’indolenza, dietro c’è una demotivazione più forte. Ciò che avvertiamo con chiarezza è che il lavoro che svolgiamo ha una scarsa significatività istituzionale. Anche quando sono alloggiati in modo decoroso i migranti sono senza futuro. La scuola che fanno con noi è motivante in senso affettivo, i ragazzi si affezionano ai volontari e ai compagni, ma il nodo drammatico è che lo Stato non prevede un progetto che al di fuori del tunnel indichi una strada. Le persone restano inattive e passano anni prima dell’audizione in commissione. Se ci fosse un maggior impegno delle istituzioni ad esempio i nostri corsi di italiano potrebbero essere propedeutici a corsi di formazione professionale».

LE STORIE – C’è Joseph del Pakistan che parla già molto bene italiano poiché frequenta i corsi tutti i giorni e dopo la lezione va a lavorare: 5 euro per due ore a scaricare vestiti. «Meglio che stare a non far niente e pensare», dice. Vive nell’hotel Bella Napoli e la sua tribolazione è finita di recente poiché ha avuto una risposta positiva dalla commissione. «Dopo avere ottenuto i documenti voglio andare a Milano per completare gli studi. In Pakistan studiavo a Medicina ma credo che mi iscriverò a economia, qui è troppo difficile superare il test di ingresso a Medicina poiché non essendo italiano non potrei mai rispondere a domande di cultura generale». Allieva atipica è Diana laureata messicana che resterà a Napoli per due mesi con amici: «Mi piace molto Napoli, qui al sud puoi imparare molto della storia dei greci e dei romani. Un amico mi ha detto della scuola occupata e mi ha raccomandato questi corsi perché le insegnanti sono molto brave». Mustapha della Costa d’Avorio non parla bene l’italiano ma si sforza di trovare i termini adatti mentre lotta con la sua timidezza o forse con i suoi ricordi: «Sono arrivato per il mare, 6 mesi fa. Sono stato alla commissione e sto aspettando il risultato. Forse quando lo ottengo andrò in un altro paese, vorrei studiare contabilità perché mi piacerebbe fare il commerciante. In Costa D’Avorio ho studiato 10 anni e poi ho fatto l’autista. C’erano tanti problemi, la crisi, è molto difficile. Non c’è sicurezza. Mia madre e mia sorella sono state uccise».
Nonostante la situazione drammatica gli allievi seguono con interesse e passione le lezioni.  «L’anno scorso in albergo abbiamo fatto lezione a 70 richiedenti asilo  – racconta Maria Teresa Bongiorno, una delle docenti fondatrici – ci sono stati momenti in cui si sono bisticciati tra di loro o, scambiandoci per l’istituzione, sono venuti da noi a lamentarsi perché non gli venivano dati i soldi che gli spettavano, ma non abbiamo mai visto un atteggiamento poco rispettoso nei nostri confronti.
E’ sempre stato molto frustrante per noi non riuscire ad insegnare alle donne: sono pochissime quelle che frequentano o iniziano a frequentare e poi abbandonano. Alcune mussulmane non possono  frequentare insieme agli uomini, altre vanno via perché entrano nel giro della prostituzione. Al momento sono felice di insegnare ad un gruppo di 5 donne africane ospiti di una casa famiglia. Tra loro c’è Elizabeth che ha 28 anni. Dopo aver lasciato un figlio adolescente in Camerun è partita, incinta, alla volta dell’Europa insieme al marito, ha attraversato il Ciad e in Libia dove il marito è stato ucciso in uno scontro a fuoco, mentre lei ha partorito una bambina in un campo profughi. In un barcone con la piccola Emanuelle è riuscita a raggiungere Lampedusa, ma poiché le condizioni della bimba erano drammatiche le due sono state imbarcate alla volta di Napoli.  Emanuelle è stata ricoverata all’ospedale Santobono in fin di vita. E’ stata letteralmente “tirata fuori dalla tomba”, così mi ha raccontato Antonio Correra il primario pediatra che conosco. Elizabeth ed Emanuelle oggi vivono a Casa Sofia, la casa famiglia gestita dalla comunità “Il Pioppo”»

 

di Alessandra del Giudice

 
L’Insf sostiene le sue spese con il 5×1000
 
Info: www.insegnantisenzafrontiere.it
 

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