ROMA. In Italia ci sono 1.152 impianti sparsi in 739 comuni: trattano sostanze pericolose, suscettibili di causare incidenti rilevanti e sottoposti a norme di controllo e tutela. Ma siamo veramente protetti dal rischio industriale? A fare chiarezza arriva il dossier presentato oggi dal direttore di Legambiente, Rossella Muroni, insieme al Capo del Dipartimento della Protezione Civile, Franco Gabrielli, e da Simone Andreotti, responsabile Legambiente Protezione Civile, e realizzata dalla onlus ambientalista e Dipartimento della Protezione Civile nell’ambito del progetto di monitoraggio, prevenzione e informazione per la mitigazione dei rischi naturali e antropici Ecosistema Rischio 2012. Sotto la lente degli studiosi sono finiti impianti chimici, petrolchimici, depositi di gpl, raffinerie e depositi di esplosivi o composti tossici che “in caso di incidente o di malfunzionamento, possono provocare incendi, contaminazione dei suoli e delle acque, nubi tossiche, e che sono censiti dal ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare in un inventario nazionale aggiornato semestralmente. Gli impianti sono concentrati prevalentemente in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna”.
LEGAMBIENTE. In che medo le amministrazioni abbiano recepito tutte le informazioni sugli impianti e se abbiano provveduto a informare i cittadini sul rischio d’incidente e sui comportamenti da adottare in caso di emergenza è stato l’oggetto della verifica fatta da Legambiente e Dipartimento della Protezione Civile e che costituiscono il dossier Ecosistema rischio industrie. Attraverso un questionario inviato a tutti i 739 comuni, lo studio prende in considerazione il livello di realizzazione o partecipazione dei comuni a periodiche esercitazioni, del recepimento delle informazioni contenute nei Piani d’emergenza esterni redatti dalle prefetture competenti, della pianificazione urbanistica che tenga conto del rischio esistente: l’86% dei comuni ha individuato le aree di danno, il 49% ha individuato le strutture vulnerabili, il 70% ha avviato campagne informative, ma solo il 16% ha realizzato esercitazioni con i cittadini.
MURONI. «I comuni – spiega Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente – hanno il compito fondamentale di fare da raccordo tra le attività di pianificazione urbanistica e la presenza di insediamenti a rischio d’incidente rilevante. Spetta loro anche informare i cittadini sui comportamenti corretti in caso di emergenza». «Alla base della normativa sulla mitigazione del rischio industriale – aggiunge Simone Andreotti Protezione civile di Legambiente – c’è il grave incidente che nel 1976 colpì Seveso e altri comuni brianzoli, la contaminazione provocata da una nube tossica fuoriuscita dallo stabilimento di un’industria chimica, l’ICMESA, di Meda. Quel disastro spinse gli Stati membri della Comunità europea a promuovere una politica comune sul rischio industriale. Siamo oggi alla terza direttiva Seveso, le norme per prevenire eventuali incidenti e circoscriverne al massimo i danni sono sempre più puntuali e rigorose. Ed è di fondamentale importanza che tutti gli attori coinvolti facciano la propria parte per rispettare la legge con precisione».

di Mirella D’Ambrosio

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