di Alessandro Seminati, direttore di CSVnet

La prima reazione è stata traumatica per tutti: quando a maggio l’Istat ha diffuso i dati sui volontari della nuova rilevazione campionaria del censimento non profit, il crollo di oltre il 15% (quasi un milione di unità) del loro numero in organico dentro le istituzioni non profit (universo non totalmente coincidente con quello che conosciamo come il terzo settore perché include, ad esempio, anche associazioni sportive non iscritte al Runts, sindacati, enti religiosi, istituzioni sanitarie e assistenziali…) ha creato un certo allarme nel nostro mondo. I dati sono utili sempre a leggere le realtà, ma dobbiamo ricordarci che non raccontano astrazioni, sono una rappresentazione di quella umana. Il movimento del “Data Humanism” ci ricorda che devono essere sempre associati alle persone che li generano, a ciò che vivono in quel determinato periodo storico e anche alle storie e traiettorie umane dei loro protagonisti. Ciò che possiamo fare quindi di fronte a questi dati non è disperarci o arrenderci, nemmeno minimizzarli (sono certamente stati raccolti ancora in piena pandemia), ma farci ispirare le giuste domande per capire dove stiamo andando e cosa possiamo fare per interpretarli e trasformarli. I Centri di servizio per il volontariato sono il luogo in cui queste domande devono essere poste e in cui il terzo settore può costruire strategie di risposte. E credo che una riflessione corretta debba partire non dal crollo dei volontari, ma dalla riaffermazione del ruolo imprescindibile che hanno dentro al terzo settore, ruolo che l’Istat stesso certifica quando ci dice che la sua componente solidale e base sociale è fondata proprio in larga parte sul volontariato. Quello che ci raccontano non è che il volontariato sta piano piano scomparendo, ma che si sta progressivamente trasformando al pari di ogni aspetto della vita umana e sociale. Il volontariato come lo abbiamo conosciuto fino a pochi anni fa si alimentava con traiettorie diverse: si conosceva e sperimentava in famiglia e nei luoghi fisici dei corpi intermedi, evolveva secondo una linea di senso che passava per punti quali gratuità, appartenenza, dedizione, sacrificio. Oggi la bussola dell’esperienza volontaria è diversa, intreccia dimensioni diverse (solidarietà e benessere personale) si orienta in territori più incerti e meno definiti, si nutre di emozioni e meno di dedizioni. Ciò non annulla i vecchi paradigmi, ma li contamina con nuove sensibilità. Per questo accompagnare il volontariato oggi significa prima di tutto ri-comprenderlo su nuove dimensioni di senso. È ciò che la rete dei Csv sta facendo con il Manifesto di vision “Per fare bene insieme”: leggere la realtà con nuove lenti per rinnovare strategie e strumenti di accompagnamento. Fra le tante sfide che abbiamo di fronte c’è quella di capire come aiutare le organizzazioni a riconnettersi con le aspirazioni e i bisogni delle persone per favorire la loro propensione ad impegnarsi in percorsi di solidarietà.

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