Si ponga fine al conflitto in Ucraina, cominciato esattamente un anno fa dopo l’invasione dell’esercito russo, e nelle altre zone di guerra troppo spesso dimenticate. Da Napoli parte un grido forte per la pace, urlato da circa 5000 persone tra studenti delle scuole del territorio, mondo dello spettacolo e della società civile, delle associazioni, della chiesa, dagli attivisti, dai cittadini ucraini presenti nell’area metropolitana. A organizzare la manifestazione di questa mattina, che cade in concomitanza con lo scoppio della guerra su larga scala in Ucraina il 24 febbraio 2022, partita a piazza Dante e terminata in piazza Municipio, la Comunità di Sant’Egidio insieme al Comune e alla Chiesa di Napoli con l’intento di coinvolgere soprattutto i giovani in nome della pace.

Il messaggio  – «La pace è possibile e siamo felici che tanti giovani abbiano accolto l’appello» si ritiene soddisfatta Paola Cortellessa, rappresentante della Comunità di Sant’Egidio convinta che la «pace assicura il futuro dei giovani di tutto il mondo. La guerra è solo distruzione e dove c’è guerra non c’è futuro. Purtroppo la guerra sta diventando il mezzo per la risoluzione dei problemi invece la pace va ricercata». A condividere il messaggio il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi il quale sottolinea «la vicinanza» della città «al popolo ucraino, alla resistenza e all’integrità territoriale dell’Ucraina» chiedendo al contempo «un percorso di pace perché i tempi ormai sono maturi per trovare finalmente una via d’uscita a un conflitto che sta costando tantissime vite umane». Manfredi ricorda come Napoli sia stata la «città che ha accolto più ucraini di tutti, questo è un luogo dove le tante diaspore del mondo hanno trovato sempre accoglienza. Ora la voce delle armi deve però essere sostituita dalla voce del dialogo perchè mai nessuna guerra si è conclusa con le armi». Gaetano Castello, vescovo ausiliare dell’Arcidiocesi di Napoli, ammonisce: «La pace non si può ottenere guardando allo scempio, il rischio è che quelle immagini di distruzione e morte diventino un’abitudine mentre tutto questo deve suscitare sdegno. I giovani – il vescovo Castello – devono occuparsi di una pace che non è frutto di una politica delle armi, bisogna fare in modo che non si creino squilibri tali da fare scoppiare i conflitti. Tutti siamo con il popolo ucraino che porta nel cuore ferite e dispiace veder due popoli che pensano oggi di risolvere con il potere delle armi».

La marcia – La richiesta di stop alle ostilità in Ucraina e negli altri teatri bellici arriva non solo da piazza Dante dove si aprono gli interventi dal palco ma anche nel corteo che attraversando via Toledo e via Medina arriva sino in piazza Municipio dove i giovani, una musicale di ragazzi cingalesi, gli interventi di attori come Patrizio Rispo e scrittori come Maurizio De Giovanni animano la seconda parte della giornata. Tanta le bandiere gialle e blu dell’Ucraina sventolate dai cittadini del Paese ora in Italia, i cartelloni per veicolare parole di pace (“No war’’), la condanna dell’invasione del Cremlino. Ad aprire la marcia un grosso striscione con su scritto “Napoli città di pace’’ a cui si aggiungono le bandiere arcobaleno. «Più mandiamo armi, più le fabbrichiamo e più facciamo guerre. La nostra Costituzione, che è tra le più belle del mondo, dice che l’Italia ripudia la guerra», afferma padre Alex Zanotelli che alle parole del presidente della Federazione Russa Vladimir Putin contro i costumi e le tradizioni dell’Occidente, anche dal punto di vista dei rapporti privati risponde così: «Parte tutto dal suprematismo bianco-ortodosso, loro si sentono portatori dei valori tradizionali dicendo che l’Occidente fa schifo e basta. Ma anche noi rifiutiamo l’altro, il nero: è la stessa logica della Russia che ora però la sta difendendo con le armi. Le unità dei vertici della chiesa ortodossa è chiara (basti pensare al patriarca Kirill, molto vicino al Cremlino ndr.) ma anche noi l’abbiamo fatto. È un processo da cui venir fuori, l’umanità o diventa plurale o siamo destinati a sbranarsi vicendevolmente. Le chiese dovrebbero prendere in mano questo discorso». Marina Saviano, docente di sostegno dell’Istituto Isabella d’Este Caracciolo, ricorda «come già prima che scoppiasse effettivamente il conflitto i ragazzi vivevano la situazione internazionale con profonda angoscia ed ecco perché abbiamo cercato di coinvolgere soprattutto i ragazzi delle Prime e delle Seconde. Un anno fa i ragazzi erano terrorizzati che ci fosse una guerra in un posto vicino ma non troppo, ora purtroppo sembrano assuefatti ma è necessario ricordare loro che mentre noi continuiamo con la nostra routine c’è chi muore sotto le bombe». «C’è stato un contraddittorio sull’argomento, abbiamo insegnato loro a confrontarsi anche con dialoghi serrati – si inserisce Carmen Aiello insegnante di italiano e storia della Isabella d’Este – Non c’è stato un pensiero unico, potrebbero ragionare di più anche scegliendo bene le fonti per capire bene le ragioni politiche, storiche, geografiche. Prima della guerra pochi studenti sapevano chi fosse Putin, ora lo sanno e anche Zelensky, il presidente ucraino, non sapeva chi fosse. E in verità nemmeno molti altri».  Manuela, 17 anni, è una studentessa del Liceo Statale Comenio dei Colli Aminei. Su quanto sta accadendo sente di dire che «anche se è passato un anno dall’invasione dell’Ucraina e ci sono altre guerre in piccole forme, non ci si può fare l’abitudine ma non ho un’idea precisa su quanto accaduto perché ci sono troppe questioni economiche e politiche aperte. Putin lo conoscevamo anche noi poco, ora di più e credo sia egoista e siamo impaurite che il conflitto possa allargarsi». Irma, studentessa di 18 anni del Fonseca invece già conosceva il nuovo Zar del Cremlino: «Sapevamo già prima della guerra che fosse un dittatore ma ci siamo comunque stupiti dell’invasione dell’Ucraina, non ce l’aspettavamo». In ogni caso, aggiunge la sua amica di scuole Alessandra, «la colpa di questa situazione non è soltanto sua. Gli Stati Uniti da questa situazione credo ne stiano dando vantaggio e anche la Nato che fa finta di difendere ha interessi politici ed economici, stessa cosa l’Unione Europea. Non c’è al giorno d’oggi un leader internazionale capace di fare gli interessi di tutti, anche la visita a Kiev di Joe Biden è stata una messinscena. Ma odio anche il comportamento di Zelensky, che si fa i selfie e le foto nel suo salottino mentre il suo popolo muore ed è entrato anche in Italia parlando a Sanremo». Alessandra è comunque pronta a dire, immedesimandosi nel popolo ucraino, come sia «facile fare la guerra a chi è più debole senza potersi difendere». Irma chiosa con una frase che può mettere i brividi per una sorta di rassegnazione. «Più che paura c’è consapevolezza che il conflitto possa estendersi, è brutto vivere a 18 anni sapendo quanto possa accadere in futuro a causa della guerra, del cambiamento climatico per decisioni di potenti che non fanno mai l’interesse della gente».

Gli ucraini  – Alla marcia tanti gli ucraini presenti, che intonano l’inno del proprio Paese come monito per la vittoria contro l’invasore russo. Lara Levchun, mediatrice culturale, è responsabile nazionale del sindacato Labor. Da quando nel suo Paese d’origine parlano le armi, ha cercato di dare sostegno e manforte ai suoi connazionali giunti a Napoli e in Campania, oltre 20.000 secondo dati ufficiali. «I napoletani sono stati accoglienti dando cibo, mettendo a disposizione case ai rifugiati. Inserire qui delle persone fuggite dalla guerra resta però difficile. Sarebbe bene avere un canale ben chiaro sulle procedure di sostegno con la Questura e con la Prefettura per costruirsi un futuro. Oggi – si rammarica Levchun – questo canale non c’è più e molti cittadini abitano nei posti più piccoli della regione perché costa meno un affitto, pagato di tasca propria insieme all’acquisto del cibo e accudire i figli». Anastasìa, 16 anni, è tra i giovani del coro esibitesi dal palco con una canzone ucraina perfetta per l’occasione che tradotta in italiano significa “Il nostro cielo’’ che dovrebbe essere protetto dagli attacchi russi. «Cerco di parlare con gli altri ragazzi per quanto sta accadendo ma non tutti hanno capito cosa significhi la guerra. Io ho parenti ancora lì, non lontano da Kiev, ci dicono che i russi cercano di bombardare le varie centrali però tentano di rassicurare sul loro stato di salute». Kathrin è un’adolescente ucraina di 15 anni, è in Italia dal marzo 2022 ospite dell’Officina delle Culture Gelsomina Verde di Scampia, dove studia al Liceo Elsa Morante, dopo essere scappata da Kiev con la mamma. «Sono arrivata in treno qui passando per la Polonia. Il viaggio è durato 3 giorni, quasi senza acqua e cibo. Quando ci hanno rifocillato, non sapevo nemmeno in quale Paese fossimo». Kathrin teme che la guerra possa durare ancora tanto e spiega perché. «Mio fratello è rimasto lì a combattere e mi dice che la situazione è complicata, almeno per buona parte del 2023 le ostilità non si fermeranno. Lui è un po’ stanco psicologicamente dai continui combattimenti, dorme per terra con uno zaino di 40 kg non è facile. Io però voglio tornare a casa mia in Ucraina, stare con i miei amici e rivedere mia nonna che non è potuta venire in Italia perché si è rotta la schiena e poi perché non vuole lasciare la sua casa». La 15enne poi racconta: «Avevo un amico russo, più grande di me. Ora però ho interrotto i rapporti perché dice che la Crimea è russa ma quella per noi è l’Ucraina, non possiamo accettare invasori sulla nostra terra». «E’ trascorso un anno e nulla è cambiato. Oggi non avrei voluto essere qui per commemorare un anno di guerra ma avrei voluto salire su questo palco per festeggiare la pace. Spero che un giorno l’amore possa farci vivere in un mondo di pace in cui la guerra non esista», aggiunge Karina Samoylenko, ballerina del Teatro San Carlo con madre ucraina e padre russo.

La giovane afghana – Nella giornata napoletana spazio anche per il dramma dell’Afghanistan, dal 2021 di nuovo in mano ai talebani. Fatima Mahdiyar, 22 anni in Italia da un anno e mezzo, dopo aver parlato dal palco di piazza Municipio, ci dice: «Sulla situazione del nostro Paese è calato il silenzio ma è terribile quanto accade: i talebani non permettono di fare nulla come mi racconta la mia famiglia che è ancora lì. Le donne non possono più studiare all’università e non c’è libertà. Sono a Napoli per studiare medicina, ma non vorrei che il mondo si dimenticasse di noi perché la nostra condizione è terribile, le persone sono da sole».

di Antonio Sabbatino

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