Fabio D’Auria, è un attivista napoletano di 46 anni, ha partecipato a varie missioni sulle navi delle Ong nel Mediterraneo con l’unico intento di salvare vite umane ed è un testimone diretto del percorso accidentato che i naufraghi sono costretti a percorrere per inseguire, su imbarcazioni di fortuna, la felicità in Europa. Ciò che ha visto, dice «ti rimane dentro. Dopo aver partecipato all’ultima missione sulla Geo Barents, sento ora l’esigenza di fermarmi un attimo perché l’attività di salvataggio e la messa in sicurezza delle persone ti fa perdere la percezione del tempo. Ho partecipato al salvataggio di circa 1800 persone in tutto e il coinvolgimento è enorme. Anche un equipaggio di una Ong può vedere messa a repentaglio la propria incolumità».

Le missioni di Fabio –  Dopo una lunga esperienza nella lotta al razzismo, Fabio ha capito che aveva bisogno di allargare gli orizzonti per sentirsi davvero appagato nella sua azione di aiuto in favore di chi è in difficoltà. Così ha deciso prima di recarsi per alcuni mesi in Spagna per aiutare a preparare le imbarcazioni della Open Arms poi, dopo aver conseguito una serie di certificazioni ed attestati, ha partecipato a vari salvataggi, con missioni nelle acque del Mediterraneo in zona Sar con l’Astral della Open Arms, la Open Arms 1 e la Geo Barents, imbarcazione di Medici Senza Frontiere che lo scorso novembre è rimasta per 10 giorni in acqua per il mancato ok allo sbarco del Governo italiano di Giorgia Meloni che ha creato anche un incidente diplomatico con la Francia. «Innanzitutto – afferma Fabio – va cambiata la narrazione rispetto alle partenze delle persone dalla Libia che attraversano il mare. L’immagine dei soccorsi di persone di colore nero sui gommoni che una certa politica usa per propaganda, vista anche la recente stretta decisa sulle Organizzazioni non governative (il decreto varato il 28 dicembre scorso dal Consiglio dei Ministri prevede un salvataggio per volta soltanto, il rispetto del porto indicato senza discussioni in pratica, multe e confische delle navi in caso di codici di condotta violati ndr.), è distante da ciò che accade realmente in mare. Ci sono famiglie di diverse etnie che partono non solo per la guerra ma anche a causa dei cambiamenti climatici, delle carestie, per l’assenza di prospettive economiche». In proposito, D’Auria aggiunge: «Sulle navi delle Ong ho incontrato anche un minore tunisino di 10 anni non accompagnato e un 12enne egiziano, tanto per fare degli esempi. Allo stesso tempo, mi sono imbattuto in una famiglia siriana composta da padre madre, 4 bambini zio e nonno quest’ultimo con problemi alla vista». Fabio dice di aver ascoltato dai componenti di questo nucleo che la partenza verso l’Europa era motivata dal fatto che «il negozio di ortofrutta che gestivano era ormai sguarnito. La guerra in Siria e il mancato arrivo della merce rendevano inutile tenerlo aperto. Questa testimonianza è lampante, fa capire che il problema migratorio è molto più complesso di come lo si racconta o lo si percepisce. I motivi per cui molti tentano un difficile arrivo in Europa sono svariati e tutti validi».

La prigionia in Libia –  Uomini, donne, bambini, che tentano la traversata del mare partendo dai vari Paesi dell’Africa subshariana dell’Africa del Nord, dal Bangladesh, dal Pakistan, dalla Siria e da altre nazioni del Medio Oriente hanno conosciuto l’orrore dei centri di detenzioni illegali in Libia, Paese dal quale poi partono le imbarcazioni verso l’Europa attraverso il Mediterraneo che le navi Ong intercettano spesso nelle varie zone Sar (italiane, maltesi, tunisine). Anche in questo caso Fabio D’Auria fa il racconto di un incontro fatto sulla Geo Barents. «Ho conosciuto un ragazzo pakistano poco più che ventenne che attendeva come tutti finalmente un approdo a terra. Mi fece vedere delle foto del Pakistan, quando tentò per la prima volta mesi addietro di lasciare il Paese. A un certo punto mi indicò un’immagine di un ragazzo in carne: era lui stesso. Non l’ho riconosciuto perché la persona che avevo di fronte era magrissima, conseguenza della detenzione di alcuni mesi nei centri libici. Avevo davanti uno spettro. Lì mi sono sentito male per quanto aveva vissuto. Capite cosa vivono le persone che tentano la traversata in mare? Le Ong fanno un lavoro importante, anche se effettuano il 10% dei salvataggi rispetto alle decine di migliaia di soccorsi della Guardia Costiera Italiana». Ora questo ragazzo, insieme ai suoi connazionali con cui Fabio è in contatto, sta chiedendo l’asilo in Italia e nel frattempo sta imparando la lingua.

L’esperienza della Geo Barents – Anche in queste ore la nave Geo Barents ha effettuato dei salvataggi nel Mediterraneo. Sulla nave di Medici Senza Frontiere, nei giorni caldi e drammatici di novembre, c’era pure Fabio D’Auria. Di quell’esperienza a bordo dell’imbarcazione – che poi ha proseguito con altri salvataggi – c’erano 572 persone tratte in salvo tra il 27 e il 29 ottobre, Fabio porta ancora i segni nell’anima e nei ricordi visivi. «Qualcuno voleva che andassimo in Norvegia perché la nave batteva quella bandiera e si decise per lo sbarco selettivo. A bordo c’era gente senza una gamba, con cicatrici, ammassate e il governo non ci faceva sbarcare», ricorda Fabio. La tensione, prima della conclusione dello sbarco a Catania, arrivò alle stelle. «Tre siriani si tuffarono in mare, (uno di questi per riprendere gli altri due). Io ero di guardia nella parte superiore della nave – descrive D’Auria – ho dato io l’allarme e lanciato i salvagente. Il gesto fu fatto perché nonostante vedessero la terra ferma, le autorità non ci facevano sbarcare. Sono stati momenti concitati, una cinquantina di persone era pronta a buttarsi in mare rischiando di farsi male seriamente e ho visto altri che si procuravano ferite da soli e davano testate verso i muri. Io ho tentato di fare la mia parte per riportare la calma, frutto anche delle esercitazioni fatte con Msf, ma era complicato perché con la notizia dello sbarco selettivo sulla Geo Barents la situazione divenne ulteriormente tesa. È stato davvero difficile». Sino all’epilogo positivo dello sbarco a Catania dell’8 novembre 2022, dopo giorni d’angoscia. Vista tutta quest’esperienza accumulata, Fabio D’Auria è pronto a chiarire: «Non si pensi che chi effettui salvataggi in mare rimanga impassibile dinanzi alle difficoltà delle persone soccorse, al mare in tempesta, ai bambini che nascono sulle navi, alle donne che fuggono anche da mariti violenti oltre che da prospettive di vita impossibili in Africa e Asia. Anche i soccorritori soffrono di sindrome post traumatica. È incredibile, si parla della sindrome post bellica dei militari ma mai di quella degli attivisti in mare. Io l’ho vissuto sulla mia pelle. Dopo una delle prime missioni con la Astral della Open Arms (in zona Lampedusa con il salvataggio di circa 200 persone ndr.) sono rimasto 10 giorni senza riuscire a parlare. Immaginate, dunque, la condizione psicologica dei naufraghi che comunque hanno una forza d’animo incredibile perché determinate a cercare felicità in Europa. A qualunque costo. Molti di quelli che ho contribuito a salvare mi hanno ringraziato, ma io ho risposto loro: “Cosa avreste fatto a parti invertite?’’. Si tratta di mutuo soccorso, quello che dovrebbe sempre prevalere»

di Antonio Sabbatino

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