La crisi energetica che sta investendo l’Europa sta turbando il sonno di molti. Politici, imprenditori e comuni cittadini temono il razionamento del gas nel bel mezzo dell’inverno. Tra meno di un mese, i riscaldamenti del Centro-nord Italia si accenderanno. A quel punto, cosa succederà? Rispetto all’anno scorso, mancano all’appello 11 miliardi di metri cubi di gas naturale. Questo è il risultato dell’interruzione della fornitura da parte di Gazprom (29 miliardi di m3), compensata, in parte, dall’aumento delle forniture da Algeria, Azerbaijan e Norvegia (totali 18 miliardi di m3). Per scongiurare il tanto temuto razionamento, la politica si affida ad una soluzione “emergenziale”: i rigassificatori.

Mentre dall’Algeria, dall’Azerbaijan e dalla Norvegia, il gas arriva in Italia tramite gasdotti (rispettivamente il Transmed-Enrico Mattei, il TAP e il Transitgas), la quota mancante di gas, che dovrà arrivare da altri Paesi fornitori, giungerà sulle nostre coste via nave. Queste nuove tratte non possono contare, però, sulle tradizionali condotte, i gasdotti per l’appunto. Il trasporto del gas via nave consente di superare i limiti infrastrutturali legati proprio ai gasdotti, pagandone, però, uno scotto. Il gas, per essere trasportato via nave, richiede di essere prima trasformato in GNL (gas naturale liquefatto), dato che in forma liquida è possibile trasportarne quantità nettamente superiori rispetto alla sua forma gassosa, per poi essere riportato al suo stato naturale e immesso nei metanodotti territoriali. Proprio in questa fase, entrano in gioco i rigassificatori, impianti che permettono di trasformare i 266.000 metri cubi di GNL (la capacità massima di una nave metaniera) negli equivalenti 160 milioni di metri cubi di gas aeriforme. In Italia, sono in funzione, dagli anni ’70, tre rigassificatori che, da gennaio, hanno già incrementato del 25% la loro attività. Già in cantiere l’ampliamento di questi impianti per assicurare una maggiore quota di rigassificazione. Questi da soli, però, non sono in grado di smaltire le forniture che si stanno acquistando in vari Paesi del mondo, per sopperire alla quota mancante di gas russo.

Dei 73 miliardi di metri cubi importati dall’Italia nel 2021, solo 9,4 derivano dal GNL, ovvero dalla rigassificazione del gas liquido, in quanto questa è da sempre ritenuta una misura meno conveniente rispetto alla fornitura via condotta e con maggiori rischi per l’ambiente e per la sicurezza delle aree circostanti gli impianti. Nonostante ciò, per far fronte alla carenza di forniture, lo Stato Italiano ha già opzionato 11 miliardi di metri cubi di GNL, che al momento non trovano spazio negli impianti già esistenti. La soluzione a questo problema arriva da Snam S.p.A., che, su mandato del governo Draghi, ha acquistato due navi rigassificatrici, dalla portata di 5 miliardi di metri cubi ognuna, per una cifra complessiva che si aggira intorno ai 750 milioni di dollari. Le due navi, che saranno disposte in mare davanti Ravenna e Piombino, svolgeranno le medesime funzioni degli impianti di rigassificazione tradizionali e garantiranno l’approdo di un maggior numero di navi metaniere da Stati Uniti, Qatar, Egitto e Nigeria, alla rete distributiva italiana. Una misura emergenziale per il governo italiano, meno per Snam, che ha avanzato la richiesta di 25 anni di concessione sull’impianto; richiesta che mal si sposa con l’intento, almeno dichiarato da parte del governo, di perseguire l’obiettivo europeo della neutralità climatica, attraverso la transizione energetica. Ma si sa, davanti alle emergenze il tempismo è essenziale. La transizione energetica è un percorso lungo e radicale, poco adatto, secondo il governo, a scongiurare una crisi energetica prevista per l’inverno ormai alle porte. Meno adatti ancora, come risposta immediata, sono i nuovi rigassificatori: l’impianto di Ravenna non sarà in funzione prima di settembre 2024, mentre quello di Piombino non prima di un anno. Del risultato delle politiche energetiche emergenziali per il prossimo inverno non si vedrà traccia nel prossimo inverno, bisognerà attendere il 2024.

Nel frattempo, in attesa che una misura emergenziale venga completata tra due anni, augurandoci anche la fine dell’emergenza entro il 2024, tra pasta cotta a fuoco spento e altri consigli utili, ci abitueremo alla penuria di gas, perpetrando quello stato di emergenza tanto caro a chi, per interessi economici, si oppone alla transizione energetica. Un cambio di rotta necessario non solo per l’ambiente e il Pianeta, ma, mai come adesso, anche per l’economia. Una transizione energetica, ecologica, ma soprattutto valoriale che assomiglia sempre più ad una chimera.

di Valerio Orfeo

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