migranti-90

di Marco Ehlardo*
ROMA – Che una parte del terzo settore, ed in particolare una parte di quello che si occupa di servizi e di accoglienza dei migranti, non fosse proprio il regno della trasparenza, della responsabilità e persino della legalità non era un segreto per molti degli addetti ai lavori.

Provare a parlarne però, in pubblico come in privato, aveva lo stesso effetto di parlare male di Maradona ad un tifoso del Napoli.
Alcuni operatori sapevano, molti sospettavano, nessuno parlava.
Quando alla fine dello scorso anno è deflagrato lo scandalo Mafia Capitale a Roma, dunque, a (quasi) tutti è sembrato il classico fulmine a ciel sereno.
Sono seguite poi altre indagini, fino all’attuale parte seconda dell’inchiesta di Roma.
Il lato positivo di queste inchieste è quello di aver sollevato un velo, e di poter contribuire, speriamo, a fare un po’ di pulizia.
Ma il lato negativo rischia di essere molto più pesante.
Noi italiani, lo sappiamo, in questi casi non abbiamo mezze misure. Il giorno prima una certa categoria è fatta tutta da santi ed eroi: poi, al minimo problema, diventa di punto in bianco un covo di ladri, criminali, approfittatori.
Ma, almeno in questo caso, non è vero. Facciamo allora un po’ di chiarezza.
A mio avviso, il problema più grande di una parte del terzo settore italiano è sempre stata la mancanza di indipendenza dalla politica. I rapporti sono stati spesso organici: a volte, addirittura, talune associazioni sono nate come costole di questo o quel partito.
«Quando poi i partiti si sono sciolti come la spazzatura al sole, lasciando lo stesso percolato, le associazioni sono diventate lo strumento di proprietà di questo o quel politico» (cit. Terzo settore in fondo – Cronistoria semiseria di un operatore sociale precario).
L’inchiesta Mafia Capitale ha messo a nudo proprio questo: una cooperativa che riceveva milioni di euro per l’accoglienza di richiedenti asilo grazie alle connivenze con la politica locale.
Le responsabilità sono diffuse. Sono di quei politici che vedono il welfare locale come occasione di clientelismi e bacino di voti; sono delle amministrazioni pubbliche che non svolgono il loro dovere di monitorare i progetti che affidano (e su questo io proporrei la creazione di un ente terzo che monitori sia chi affida sia l’affidatario); sono di quella parte del terzo settore che si è tuffato nell’accoglienza dei migranti vedendone semplicemente un business.
Tutto questo andava detto prima, e non può essere certo nascosto oggi. Ma fare di tutta un’erba un fascio è falso ed è un grave errore.
Il mondo dell’accoglienza è fatto da centinaia di organizzazioni, la gran parte assolutamente virtuose, e che spesso porta avanti i progetti con grandi sacrifici.
È fatto da migliaia di operatori sociali, quasi sempre in condizioni di estremo precariato, con un ruolo spesso svilito, ma che nonostante tutto lavorano anche 12 ore al giorno, avendo come unico obiettivo di fornire un servizio efficiente e “accogliente” ai migranti.
Questo terzo settore, che è la maggioranza, è ancora essenziale per il nostro Paese.
Rischia seriamente di non rialzarsi più dalle botte che sta prendendo in questo periodo.
Ma questo sarebbe un errore madornale, del quale ne pagheremmo le conseguenze tutti.

* Marco Ehlardo (Napoli, 4 febbraio 1969) ha lavorato per oltre dieci anni a Napoli in servizi per migranti, coordinando un programma di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Dal 2011 ricopre il ruolo di Referente per la Campania di ActionAid Italia. Di recente è uscito per la Edizioni Spartaco il suo primo libro “Terzo settore in fondo: cronistoria semiseria di un operatore sociale precario”.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui