ScuolaPIACENZA – Si è tenuto all’Università Cattolica il seminario “Genitori reclusi, genitori comunque” per capire, attraverso l’intervento di esperti (le testimonianze di chi lavora in carcere e di pedagogisti), le difficoltà e le speranze sia dei genitori in carcere sia dei loro figli. Un genitore detenuto è una presenza che in casa non c’è, ed è concesso ogni mese un limitato numero di ore per vedere i figli, solo 6, conseguenza che appesantisce il carico delle già esistenti difficoltà per i rapporti familiari.
Per un familiare di un detenuto, la trafila per accedere ai colloqui prevede l’identificazione, la verifica del titolo di accesso a fare il colloquio. Fasi, queste, spesso molto lunghe di attesa, in cui, a volte, sono presenti dei bambini, figli di padri o madri reclusi, costretti, all’ingresso in carcere, a essere anche perquisiti per incontrare i propri genitori. Il seminario ha dato modo di analizzare e riflettere sulle esperienze di due progetti che il Centro di Servizio per il Volontariato di Piacenza – SVEP ha realizzato in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e l’associazione di volontariato “Oltre il muro” dal nome “Sala d’attesa”, e l’altro, lo “Spazio Giallo”, finanziato dal Fondo Speciale per il Volontariato. “Spazio Giallo” non è un luogo fisico, ma piuttosto uno spazio mentale, dove riflettere sui diritti di quei tanti bambini che sono Nello “Spazio Giallo” i bambini possono trascorrere con serenità il tempo d’attesa dei colloqui con i propri genitori, grazie alla realizzazione di un angolo accogliente e allegro, con la presenza costante di volontari formati e di tirocinanti dell’Università Cattolica. L’attività dei volontari diventa fondamentale specie in caso di presenza di bambini, per loro trovare un ambiente accogliente, dei giochi, delle persone che fanno animazione, aiuta a smorzare il clima austero del carcere., e il momento della perquisizione, diventa così il momento del solletico.
Raffaella Bianchi è stata la prima tirocinante dell’università Cattolica, allo “Spazio Giallo” dell’Istituto penitenziario Novate di Piacenza, che è entrata in contatto con tante storie complicate, piene di umanità, di bambini cresciuti troppo in fretta e di papà che provano a reinventarsi una figura di genitore. Raffaella ci racconta la sua esperienza:Più volte ho riflettuto sul motivo che mi ha spinto a svolgere il tirocinio nel progetto Spazio Giallo e Sala d’Attesa, arrivando alla conclusione che mi sono buttata in questo percorso per CURIOSITA’. Non mi sembrava una ragione nobile poiché il curioso infastidisce e fa un cattivo uso di ciò che ha saputo o imparato. Poi ho cercato l’etimologia della parola, “curioso” e ho scoperto che deriva dal termine latino cura e significa “chi si cura di qualche cosa”. La curiosità, nel suo significato più fertile. A ottobre 2012 sono così approdata all’area pre-colloqui della casa circondariale di Piacenza. Allora, la stanza dedicata all’attesa era spoglia e le pareti erano tinteggiate di un colore non particolarmente vivace. In questo luogo abbiamo accolto genitori, mogli, sorelle, fratelli e figli che si erano messi in movimento, sia fisico sia emotivo, per mantenere la relazione affettiva con il loro familiare detenuto. Lamodalità per accogliere queste persone, tra loro molto eterogenee, è sempre diversa e va adeguata al singolo individuo che s’incontra e soprattutto al suo stato emotivo. Con i bambini rompere il ghiaccio è più semplice, poiché la mediazione del gioco sicuramente facilita il compito. I bambini con la loro spontaneità, spesso si fanno carico, anche inconsapevolmente, di risolvere certe situazioni impacciate. L’esperienza mi ha convinto che comunque valga la pena azzardare il primo passo, e nel totale rispetto della volontà dell’altro, prendere l’iniziativa e stabilire un primo contatto, rompere il ghiaccio, insomma, perché spesso ciò che impedisce la comunicazione è l’imbarazzo, la vergogna”.

di Paola Amore