prodotti-senza-glutine--180x140MILANO – Un appello al ministro della Salute Beatrice Lorenzin perché il ticket erogato mensilmente dallo Stato ai celiaci, un buono del valore di circa 100 euro, possa essere speso oltre che nelle farmacie anche nei supermercati. A lanciarlo con una petizione, che in poche ore ha raccolto 12mila adesioni sulla piattaforma web Change.org, Marina Pellizzari, geometra, celiaca e mamma di Francesco, un bambino di sei anni, anche lui celiaco. «Non mi piace il fatto che si lucri sulla celiachia. Non si può pagare un chilo di farina che è semplicemente un misto di farina e amido di riso e mais 6,70 euro, è un furto – scrive Marina -. I prezzi dei prodotti senza glutine sono purtroppo esorbitanti, soprattutto in farmacia, nonostante si tratti di prodotti contenenti ingredienti molto semplici, come farine di riso o di mais. I prodotti senza glutine non sono medicinali, ma solo prodotti fatti con materie prime senza glutine naturali: gli stessi che si trovano in farmacia al supermercato hanno un prezzo inferiore».
PREZZI ALTI – La questione non è da poco. I 135mila celiaci italiani spendono quasi 200 milioni l’anno per la propria dieta, secondo un’indagine dell’Associazione italiana celiachia (Aic) su oltre 3mila pazienti. In farmacia i celiaci spendono più di 140 milioni di euro, poco meno di 15 milioni nei negozi specializzati e 45 milioni nella grande distribuzione. Circa 50 milioni di euro “sforano” i rimborsi coperti dal Servizio Sanitario Nazionale e devono essere pagati dai pazienti di tasca propria. A titolo di esempio l’Aic cita un paniere di dodici dei prodotti più spesso utilizzati in cucina (pane, pasta, farina e preparati per pizze, biscotti e merendine, prodotti pronti surgelati), che costa da 40 a 60 euro, a fronte di prezzi che si aggirano sui 25 euro nel caso di alimenti con glutine. La spesa elevata è ovviamente un deterrente all’acquisto, per cui, è l’appello degli specialisti, sarebbe senza dubbio opportuno calmierare i prezzi. «I prezzi dei prodotti per celiaci sono alti – conferma Antonino Annetta, vice presidente di Federfarma Lazio -. Il problema però non è la farmacia, ma chi li produce e ne decide il costo. La petizione è giusta ed è un problema che andrebbe affrontato sensibilizzando però chi produce questi alimenti senza glutine. Basta fare un giro in Europa per accorgersi che i prezzi fuori dall’Italia sono più accessibili». Ma anche da noi qualcosa si muove. «In alcune regioni i buoni sono già spendibili nei supermercati e anche in Lombardia le trattative sono abbastanza avanti» spiega Maria Teresa Bardella, gastroenterologa e consulente scientifico del Centro per la Prevenzione e Diagnosi della Malattia Celiaca della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. I prodotti venduti nei supermercati, a patto che riportino sulla confezione il marchio “senza glutine” sono sicuri tanto quanto quelli venduti in farmacia. Cambia il prezzo, appunto.
LA MALATTIA – A livello mondiale la celiachia, secondo uno studio del New England Journal of Medicine, colpisce l’1% della popolazione, ma solo il 21% dei casi è diagnosticato; colpisce per lo più le donne, con una prevalenza di 1,5-2 volte rispetto agli uomini e con il 10-15% dei familiari di primo grado affetti dalla stessa patologia. Un segnale negativo verso la celiachia e i celiaci è arrivato a giugno dall’Unione Europea, che li ha declassati, a causa del clamore mediatico sulla sensibilità al glutine non-celiaca. Il Parlamento Europeo ha approvato un regolamento che di fatto non include più i celiaci nei gruppi di consumatori le cui esigenze nutrizionali vanno particolarmente tutelate. L’Aic ricorda che, anche in tempi di crisi, 600mila famiglie italiane spendono poco meno di 6 milioni di euro al mese per acquistare prodotti senza glutine di cui non hanno bisogno.
TEMPI LUNGHI – In Italia per accertare la malattia «occorrono ancora oggi 6 anni di percorso diagnostico – sottolinea l’Aic – con enormi sprechi di risorse sanitarie e senza raggiungere più di un quarto dei celiaci stimati ma ancora sconosciuti». La celiachia è un’intolleranza permanente al glutine, sostanza proteica presente in avena, frumento, farro, grano khorasan (kamut), orzo, segale, spelta e triticale. Per curare la celiachia occorre escludere dal proprio regime alimentare alcuni degli alimenti più comuni, quali pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche eliminare le più piccole tracce di glutine dal piatto. Questo implica un forte impegno di educazione alimentare. Infatti l’assunzione di glutine, anche in piccole quantità, può provocare diverse conseguenze più o meno gravi. «La dieta senza glutine, condotta con rigore, è l’unica terapia – avverte l’Aic – che attualmente garantisce al celiaco un perfetto stato di salute».
NEI BAMBINI – Nella maggior parte dei bambini l’intolleranza si evidenzia a distanza di qualche mese dall’introduzione del glutine nella dieta, con un quadro clinico caratterizzato da diarrea, vomito, anoressia, irritabilità, arresto della crescita o calo ponderale. Nelle forme che esordiscono tardivamente, dopo il secondo o il terzo anno di vita, la sintomatologia gastroenterica è per lo più sfumata e in genere prevalgono altri sintomi: deficit dell’accrescimento della statura o del peso, ritardo dello sviluppo puberale, dolori addominali ricorrenti, anemia sideropenica, che non risponde alla somministrazione di ferro per via orale. «Alcuni esami di laboratorio come gli anticorpi antigliadina, antiendomisio e antitransglutaminasi, possono rafforzare il sospetto diagnostico di celiachia – conclude l’Aic – ma solo la documentazione di anomalie della mucosa enterica (atrofia totale o parziale dei villi, prelevati mediante una biopsia eseguita durante una gastroscopia), può consentire la diagnosi».

L. Cu. per corriere.it

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