MILANO. E così per colpa dei tempi che corrono e soprattutto incombono, cari bambini, la gita fuori porta si fa per mangiare. Risotto, hamburger (formaggi vari per chi non vuole carne), verdure, dessert, caffè, eccovi servito il menù di questa domenica; domani vedremo e dopodomani anche. C’era il barbone uomo solo. Lui in silenzio, in coda con il vassoio, in fondo alla sala, sulla punta della sedia per far in fretta ed esser pronto a scappare. Adesso c’è l’intera famiglia. Ventidue famiglie. Italiane. ospiti fisse oppure quasi fisse della mensa per i poveri di via Saponaro, al Gratosoglio. Mamma, papà, figli. Dai 28 ai 4o anni e di pochi mesi. La nuova tipologia di ospiti sorprende perfino il padrone di casa, padre Clemente, che ne ha viste così tante da non saper manco lui quante. E invece. Sono posti di battaglia, le mense. Non ci sono sconti né regali. E padre Clemente, per cominciare, ieri non ha voluto avere i bambini di tenera età. «Bisogna dire le cose come stanno. Possono venirsi a creare cattive condizioni igieniche, possono esserci prevaricazioni, prepotenze… I piccolini in mensa no… Ho avvisato i genitori, li ho invitati a rimanere a casa, e abbiamo provveduto a far avere loro il cibo… In certi casi ci hanno pregato di diventare invisibili, nella consegna, sia mai qualche vicino sbirci e tiri conclusione». Altre volte il numero 22 non avrebbe forse fatto statistica, non avrebbe preoccupato i diretti protagonisti, insieme al Comune, dell’assistenza milanese ai poveri. Non fosse che le ventidue famiglie si erano tutte presentate per il pasto di Natale e che lì per lì sembrava una scelta disperata, pertanto occasionale; un incidente di percorso, la voglia magari di condividere la giornata, sapete, i parenti lontani… E invece a scaglioni le famiglie si sono ripresentate. L’anno vecchio e l’anno nuovo. Un giorno sì e un giorno no. Due giorni di fila. Tre giorni di fila. L’intera settimana. Festivi inclusi. Vengono da Milano. Al massimo dall’hinterland. C’è un signore che faceva il portinaio. Il condominio ha deciso di tagliare sulle spese. E il portinaio è stato il primo taglio. C’è un altro signore: di mestiere a bordo di un furgone bianco consegnava i quotidiani. L’hanno cacciato. Non aveva un contratto a tempo indeterminato. Non aveva nemmeno un vero contratto ma una specie di accordo, uno stipendio in nero e per il resto sono problemi tuoi gli infortuni e le malattie. L’hanno mandato via. Per la crisi dei giornali? No, no per quella. E che per il turno doveva iniziare alle quattro del mattino. Gli è appena nato un figlio. Gli capitavano nottate in bianco e non sempre ci stava dietro. Non si alzava alle quattro esatte. Tardava. Di poco. Chiedeva scusa, giurava che avrebbe recuperato il lavoro. Basta scuse, c’hai stancato; fuori c’è la coda. Avanti il prossimo. C’è un altro signore ancora, faceva il facchino per una cooperativa. Prima l’hanno messo a metà giornata. Il mese dopo l’hanno lasciato a casa. La motivazione? Non gira lavoro. Al solito.
Certo, alla fine i posti come via Saponaro, quartier generale dell’Opera San Francesco, tengono botta. Ma non si pensi che sia sempre Natale. «I nostri accertamenti sono continui. Non possiamo permetterci persone che ci marciano sopra. Debbono avere bisogno reale, motivato… Abbiamo appena allontanato degli anziani. Hanno una pensione bassa ma che basta per vivere… Abbiamo mandato via dei padri separati. Hanno un esiguo margine di soldi per pagarsi altrove una camera in condivisione… Qua è la frontiera estrema, se sprofondi, ti lasci cadere e se ti fermi, non ti rialzi mai più».

Fonte: Andrea Galli – Corriere della Sera – 14 gennaio ’13

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