MILANO. Una vittoria, una svolta storica, una (finalmente) buona notizia per le donne dell’Africa e non solo: le Nazioni Unite hanno messo al bando le mutilazioni genitali femminili, che i tecnici definiscono in sigla “mfg”, che molti chiamano in modo improprio “circoncisione delle bambine”. Un voto che segna una svolta fondamentale, anche se non la fine della battaglia, la lotta infatti continua perché nella sola Africa ci sono 3 milioni di bambine ancora a rischio: su questo potrete leggere domani sul Corriere l’articolo che sto scrivendo.Ma già ora voglio ricordare come si sia arrivati a questo punto. Dieci anni di campagna partita in sordina nel 2003 in Egitto, poi rilanciata nel 2005, per volere di Emma Bonino allora residente al Cairo e dell’egiziana Moushira Khattab, capo del Consiglio nazionale per la maternità, con l’appoggio dell’ex First Lady Suzanne Mubarak, controversa per mille motivi ma su questa battaglia riconosciuta anche dai nemici come attiva e fattiva. In Egitto, già nei primi mesi, la sordina in realtà era stata tolta: i massimi leader religiosi, musulmani e cristiani, avevano appoggiato la campagna, nel Paese si era iniziato a parlare pubblicamente di questa pratica antica quanto terribile, l’Egitto nel tempo era davvero cambiato, riducendo sensibilmente il numero di bimbe “circoncise”. Ma soprattutto, con tempi più lunghi e successi in genere meno evidenti, la lotta si era estesa all’intera Africa e al Medio Oriente, coinvolgendo sempre più attiviste, ministre, first lady. E segnando alcune tappe chiave, indimenticabili per chi le ha vissute. Come lo scontro avvenuto nella poverissima Gibuti, nel Corno d’Africa, durante la Conferenza continentale organizzata dalla Ong No Peace Without Justice di Emma Bonino. Il gruppo di religiosi islamici invitati all’evento aveva tentato di imporre nel documento finale la “legittimità dell’escissione parziale della clitoride se effettuata da medici o specialisti”. Una decisione dovuta alle tradizioni piuttosto che al rispetto dell’Islam che infatti non impone né legittima la pratica. Ma ci avevano provato. E la Conferenza si era trasformata in una baraonda di urla e fischi delle attiviste, con potenti ministre africane in piedi sulle sedie accanto alle giovani attiviste, per concludersi con la loro vittoria sugli imam e la scomparsa di quella frase dal documento finale.  Altri momenti chiave sono state la conferenza del Cairo del 2008, seguita dalla gioiosa festa in uno dei villaggi “liberati dalle Mgf”. Con tenere ed emozionate bambine che mostravano agli ospiti importanti del Cairo e dell’Occidente i loro disegni sul tema, accanto alle madri felici per le figlie seppur tristi pensando che a loro era stata invece imposta la mutilazione. E ancora un’altra conferenza conclusa da una grande festa a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, presieduta dalla combattiva first lady Chantal Compaorè, poi subentrata alla Mubarak dopo la fine del regime egiziano nella guida della “pattuglia africana anti-Mgf”. Come in altri incontri, le attiviste e le donne politiche d’Africa avevano fatto il punto sui progressi della battaglia e ne avevano fissato le prossime tappe. La più importante era quella conclusasi oggi, con il voto dell’Onu. La lotta però, come ho detto, continua. E coinvolge anche l’Europa e l’Occidente, non solo perché l’Mgf è arrivata con l’immigrazione anche da noi, ma perché i nostri Paesi devono sostenere chi si batte in altri Stati dove molto c’è ancora da fare. Ben vengano quindi le iniziative, che sono molte, della parte ricca e “civile” del mondo. Ma dopo la giusta celebrazione di questa giornata che chiude un’epoca, si riparta per il mettere davvero al bando totale, non solo sulla carta ma sulla carne delle donne, questo orrore che dura da millenni.

di Cecilia Zecchinelli (27esimaora.corriere.it)

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