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La magia degli origami per riscoprire la socialità perduta / VIDEO

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di Stefania Melucci
NAPOLI. Un po’ prestigiatore, un po’ clown, Francesco Cirillo incanta tutti con i suoi origami. Con un tocco di magia, e tante piegature, riesce a trasformare un semplice foglio di carta. In una casa piena di scatole, custodisce i suoi piccoli tesori: fiori e folletti, lunghi serpenti e piccole magliette del Napoli, ancora bruchi e piccoli topolini. Nessun limite alla creatività, spazio alla fantasia di grandi e piccoli per entrare nel mondo magico, senza dimenticare il riutilizzo dei materiali: non solo i classici fogli A4 colorati, Francesco utilizza tanti ritagli di giornale e materiale di “scarto” per creare e modellare la carta.

I PRIMI PASSI. Ha iniziato per gioco, seguendo un’amica tre anni fa, adesso prova a trasformare la sua passione in un mestiere. «Il mio primo lavoro è stato un fiore – spiega Francesco Cirillo – da allora non ho più smesso. Sono rimasto folgorato da tutto quello che si può ottenere con un semplice foglio di carta. Non riesco a prendere soldi per i miei origami, preferisco insegnarlo agli altri e condividere le mie conoscenze. L’arte non può essere quantizzata, ma è più giusto che sia distribuita».
L’ASSOCIAZIONE. Un passaparola tra amici, l’attenzione per l’ambiente con l’utilizzo di materiale riciclato e ore passate su un foglio di carta, tra tante piegature, per realizzare i diversi personaggi. Il tempo varia, da pochi minuti per i lavori più semplici a giornate intere per quelli più complessi. E poi tanto studio sui libri e online per essere sempre aggiornato. La voglia di far conoscere gli origami è tanta, così Francesco ha creato un’associazione, Origart, per coinvolgere tanti appassionati: «Con gli origami – aggiunge – il tempo si dilata. Realizzo corsi per bambini e mamme, entusiasti e affascinati da quest’arte. È un modo per riscoprirsi e stare insieme. Utilizzo gli origami come formula terapeutica e riabilitativa, anche per chi ha avuto ictus. La mia soddisfazione più grande? Quando i miei alunni mi dicono: “Che bello staccare la spina per un paio d’ore”».

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