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CASERTA. «Non credo di riuscire a descrivere la gioia che ho provato: è un’esperienza che arricchisce, apre il cuore e la mente e ti fa assaporare le cose  essenziali della vita»: così Antonio Russo, ventottenne di Trentola-Ducenta, racconta  il suo campo di volontariato nel Sahara occidentale. Organizzato da due  associazioni bolognesi, la Yoda (Youth for the Developement Alchemy) e la  Music Together, il campo ha coinvolto 9 ragazzi, che sono stati catapultati, per  due settimane, nella quotidianità di un villaggio di 50mila profughi Saharawi.
IL BALLO. «Quando siamo arrivati – racconta Antonio – un bambino che giocava per  strada,  ci ha visti da lontano ed è corso verso di me con le braccia aperte. Mi è  rimasto attaccato per un po’, come se mi conoscesse. Come lui, nei giorni  successivi, molti bimbi ci hanno “adottati” e ci hanno fatto sentire a casa».  In una delle tre scuole del villaggio, Antonio ha tenuto un corso musicale  speciale per studenti con varie disabilità e, con Giovanni Aizzone, direttore  della Music Togheter, un percorso di integrazione tra i minori con disagi  psichico/fisici e quelli della scuola primaria. Parte integrante del campo di  volontariato sono stati i corsi di formazione per i docenti del posto: dalle  modalità di insegnamento ai tempi di apprendimento dei bambini. «Il corso si concludeva con un ballo – spiega Antonio – è stato bello vedere come loro, di religione musulmana, siano riusciti a superare la ritrosia iniziale nel  toccarsi tra uomini e donne, si siano presi per mano e lanciati nel ballo».
SHOPPING BAG. Un altro progetto che l’associazione Yoda ha portato nei campi profughi  Saharawi è “acqua in borsa”. Per ricordare la vittoria del referendum  italiano sull’acqua bene comune, le bandiere usate durante la compagna referendaria sono state date e trasformate da un gruppo di sarte del posto in shopping bag,  attualmente in distribuzione in Italia, a Bologna e Ferrara. I soldi ricavati dalla vendita delle borse saranno utilizzati per sostenere la causa saharawi, quella di un popolo in esilio dal 1975, anno in cui inizia a sopravvivere nei campi profughi, tra le tendopoli nel deserto di Tindouf, a causa dell’occupazione del territorio da parte del Marocco. «La speranza di poter tornare presto a casa – dice Antonio – è ciò che si percepisce parlando con queste persone, la cui causa è lontana dagli interessi dei “potenti”. Pensavamo di lasciare qualcosa a loro, ma in realtà sono loro che hanno lasciato molto a noi».  I volontari sono rientrati in Italia solo da pochi giorni, ma Antonio vorrebbe già ripartire: « E’ stato difficile staccarsi. I loro sguardi, i loro sorrisi, i volti, li porto con me insieme ai colori dei tramonti del Sahara. Un richiamo forte che mi spingerebbe a salire sul primo aereo».
PER SAPERNE DI PIU’:
http://www.gruppoyoda.org/ (VOLONTARIATO: il sito dell’associazione che si occupa di campi di volontariato in Sahara)

di Emiliana Avellino

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