Il cambiamento climatico è un fenomeno globale, di natura antropogenica, che interessa tutte le popolazioni del Pianeta, a prescindere dal retaggio culturale, dall’estrazione sociale, dalla condizione economica e dal livello di sviluppo tecnologico ed industriale, ma soprattutto dalla capacità di inquinare l’ambiente. La responsabilità maggiore delle conseguenze delle eccessive emissioni di gas serra sul clima del Pianeta è da attribuirsi, inevitabilmente, ai Paesi maggiormente industrializzati che, negli ultimi anni, stanno iniziando a sperimentare in prima persona gli effetti negativi dei consumi eccessivi e delle emissioni clima-alteranti che ne derivano. A pagare maggiormente le spese, però, continuano ad essere quelle popolazioni che storicamente hanno inciso di meno sulla crisi climatica, chiamati a recitare, loro malgrado, il ruolo di inermi spettatori interessati. La Somalia ne è un esempio lampante. In quella parte di mondo, il cambiamento climatico sta provocando la peggiore siccità degli ultimi 40 anni, giunta a seguito di 4 mancate stagioni delle piogge, che sta mettendo in ginocchio, ancora una volta, il Paese africano. Secondo il “Protection and Return Monitoring Network”, guidato dall’Agenzia ONU per i Rifugiati UNHCR, a causa della siccità il numero degli sfollati interni in Somalia ammonta, solo quest’anno, a un milione di persone; con altre 500.000 sfollate a causa del conflitto in corso. Si stima che circa il 90% del Paese sia attualmente interessato da gravi condizioni di siccità. Il numero di persone colpite è passato da 4,9 milioni di marzo 2022 a circa 6,1 milioni di aprile. Si teme inoltre che la Somalia possa dirigersi verso un ennesimo anno di siccità, con piogge ancora sotto la media. Recenti valutazioni mostrano che più di 6 milioni di persone nel Paese si trovano ad affrontare carenze alimentari, da gravi a quasi complete. Tra questi, 1,7 milioni sono in emergenza IPC (Integrated Food Security Phase Classification) Fase 4 (emergenza umanitaria), mentre oltre 81.000 persone sono già classificabili IPC Fase 5 (carestia/catastrofe umanitaria). Circa 1,4 milioni di bambini soffrono di malnutrizione acuta, dei quali 330.000 rischiano di essere gravemente malnutriti se non ricevono cure immediate. Gli sfollati interni hanno urgente bisogno di riparo, cibo, acqua e accesso all’assistenza sanitaria. I focolai di malattie, tra cui il colera, sono in aumento. Ciò è dovuto alla grave carenza d’acqua e alla mancanza di accesso a strutture igienico-sanitarie adeguate, soprattutto nei siti di sfollamento interni. La perdita di mezzi di sussistenza, in particolare di bestiame, decimato dalla mancanza di acqua e di foraggio, non fa che aggravare la situazione. I prezzi di materie prime come cibo, carburante, come del resto anche acqua e foraggi, sono aumentati. Allo stesso tempo, è probabile che i conflitti, che hanno origine dalla diminuzione delle risorse disponibili, aumentino rapidamente, innescando una nuova spirale di povertà, fame e violenza. Nei primi cinque mesi del 2022, la Rete di monitoraggio della protezione e del rimpatrio (PRMN), guidata da UNHCR, ha registrato 805.000 nuovi sfollati interni in Somalia. Questo si aggiunge alle 874.000 persone già sfollate nel 2021. Un tasso di sfollamento, quello registrato nel novembre del 2021, che ha di gran lunga superato quello verificatosi durante le precedenti siccità del 2011-2012 e del 2016-2017. Per fornire sostegno di emergenza a 1,5 milioni di rifugiati e sfollati interni colpiti dalla siccità in Etiopia, Kenya e Somalia, l’UNHCR, a giugno, ha fatto un appello urgente per raccogliere 42,6 milioni di dollari per il resto del 2022. I livelli generali di finanziamento per le operazioni di questi tre Paesi indicano che è disponibile circa il 45% dei fondi necessari per la risposta dell’UNHCR alla siccità. In previsione del perdurare della situazione emergenziale, evidentemente non bastano. Con l’attenzione generale rivolta unilateralmente al conflitto russo-ucraino, si aprirà, domenica 6 novembre, la ventisettesima conferenza mondiale per il clima. “Appuntamento con la speranza” per la Somalia, il Kenya e l’Etiopia, come d’altronde per la restante parte dei Paesi del cosiddetto “Terzo mondo”, riottosi, più che mai, nel voler accettare, con rassegnazione e mestizia, le conseguenze sul piano ambientale, sanitario ed economico, dell’inarrestabile crescita occidentale, spesso già motivo, nei secoli, di forti disparità. La promessa di un fondo da 100 miliardi di dollari all’anno, che i Paesi occidentali si sono impegnati a predisporre a favore dei Paesi più colpiti durante i lavori della Cop21 di Parigi del 2015, difficilmente vedrà la luce nell’immediato. Ad opporsi sono proprio gli Stati Uniti, il cui popolo vanta, ancora oggi, lo scettro di più inquinante della Terra (tasso pro-capite), responsabile da solo di quasi 1/4 delle emissioni globali. Proprio dagli USA, culla del capitalismo, dove il consumismo è religione di stato, a tal punto da mettere facilmente in discussione persino l’esistenza di un problema climatico, non arriva alcuna disponibilità a pagare i danni.

di Valerio Orfeo

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