Esternare le sofferenze per condividerle e dare speranza a quelle donne, vessate e picchiate dai propri uomini, apparentemente non vedono via d’uscita. Le Forti Guerriere, associazione nata un anno fa al Rione Sanità dopo la morte di Fortuna Belisario, nata nel quartiere caro a Totò e uccisa a Miano dal marito nel 2019, è oramai una realtà consolidata che progressivamente allarga gli orizzonti e ingloba diverse anime – provenienti da contesti differenti – apparentemente lontane fra loro. Il messaggio va veicolato ancora con maggiore forza, come ribadito ieri nel corso di un evento pubblico al Nuovo Teatro Sanità alla presenza, fra gli altri, di don Antonio Loffredo, il parroco simbolo della Sanità e ispiratore delle Forti Guerriere, l’avvocato Manuela Palombi, che assiste tante donne vittime di violenza di genere, del presidente della Terza Municipalità Ivo Poggiani e da una rappresentanza della stessa associazione. (A leggere alcuni brani scritti da Chiara Nocchetti sul tema, nel corso della serata, l’attrice Cristina Donadio). «Le donne sono le educatrici per eccellenza, perciò stanno insieme per comprendere meglio i nostri ragazzi affinchè non diventino violenti – afferma don Antonio Loffredo nel suo intervento dinanzi a tantissimi giovani del territorio – Ci sono dei disagi ma in mezzo a queste vene, che sono i nostri vicoli, oltre le tossine si sta respirando molto ossigeno». Ossigeno come quello che finalmente sta dando nuova linfa vitale ad Emanuela, donna che per ben 31 anni è stata inghiottita dall’inferno di insulti e botte con il suo ex marito nella parte del diavolo. «Mio marito – il racconto toccante della donna – nei primi anni di matrimonio e subito dopo la nascita del nostro primo figlio mi costringeva a non vedere nessuno, né amici né familiari. Dovevo rimanere chiusa in camera pur condividendo lo stesso tetto con i miei genitori. Dopo 7 anni è arrivato il mio secondo figlio e speravo, dimenticando quanto successo fino a quel momento, che la nuova nascita avrebbe potuto fargli cambiare atteggiamento nei miei confronti vivendo come una famiglia felice: mi sbagliavo e anzi le cose sono peggiorate. Faccio fatica a dimenticare il suo sguardo cattivo e così ho lasciato quella casa che era diventata una prigione». Poi, finalmente, il coraggio di dire basta e ricominciare una nuova vita dopo un periodo in terapia in un centro antiviolenza di Somma Vesuviana. «C’è un retaggio culturale in cui persiste la disparità tra uomini e donne, nelle diseguaglianze sociali ed economiche. Spesso la difficoltà della donna a ribellarsi è perché spesso è stata educata a sentirsi inferiore» ammonisce la dottoressa Raffaella Ruocco, responsabile dell’agenzia per il lavoro presso Apl Mestieri Campania e responsabile centri antivolenza Consorzio Proodos. «Noi cerchiamo di mantenere alta l’attenzione su dei piccoli segnali, su abitudini che possono suggerire che c’ è un disagio, ad esempio la chiusura e la manipolazione di alcuni brufoli quindi stiamo parlando di patologie molto banali che però possono essere spie in un disturbo ma anche un disagio ben più profondo» afferma Gabriella Fabbrocini, dermatologa. 

di Antonio Sabbatino