Sono trascorsi pochi giorni dalla conclusione della Cop27, in Egitto, e sembra già svanita l’attenzione sul tema del cambiamento climatico, nonostante l’ennesimo, atteso, deludente risultato. Ancora una volta, le speranze di un futuro sostenibile sono state affidate a questa Conferenza sul clima dalle nuove generazioni del Pianeta, costrette ad assistere al disfacimento di ogni certezza sull’esistenza di un futuro. Certezza avuta di diritto, generazione dopo generazione, fin dall’alba dei tempi. Dopo quasi un trentennio di Cop, i progressi verso un mondo sostenibile, libero da emissioni climalteranti, sono tutt’altro che tangibili. Nel 2021, le emissioni sono aumentate del 6%: in un solo anno sono state liberate nell’atmosfera 36,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica di matrice antropogenica. La produzione di CO2 è in costante aumento su scala globale e lo sarà almeno fino al 2025, nonostante gli allarmanti moniti dell’intera comunità scientifica. Già nel 2019, secondo il Bulletin of Science, Technology & Society, il 100% degli scienziati concordava sul fatto che i cambiamenti climatici sono causati dalle attività umane. Basterebbe questo per armare la coscienza collettiva dei popoli, forzare la mano alle loro rappresentanze politiche e vincere una volta per tutte la battaglia per salvare il Pianeta da noi stessi. Ma non è così.

Inaspettatamente assistiamo ad un fenomeno in preoccupante aumento. Vengono chiamati eco-scettici o più semplicemente negazionisti del clima, sono revisionisti della verità scientifica, sedicenti divulgatori e influencer, personaggi politici legati alle lobbies del fossile e comuni cittadini. Perlopiù sono ignoranti in materia di cambiamenti climatici. Dopo 30 anni di appelli alle coscienze, come risultato di 27 Conference of the Parties, lo scetticismo sull’esistenza del problema climatico cresce quattro volte più velocemente, rispetto al sostegno all’azione climatica. Questo è quanto raccontano le interazioni social, analizzate in uno studio pubblicato sulla rivista Nature, che prende in esame il traffico dati su Twitter dal 2015, anno della Cop21, alla Cop26 del 2021. Megafoni digitali di teorie climate-contrarian, i nuovi negazionisti alimentano l’incertezza attraverso la disinformazione, facendo leva su sentimenti antiscientifici e teorie complottiste. Si rivolgono spesso ad una platea poco colta e più facilmente influenzabile, alla quale poter spacciare persino la mancanza di evidenza diretta come una prova. Fu proprio l’allora uomo più potente del Mondo, il Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, a dire: “Ci servirebbe un po’ di quel cambiamento climatico. A New York si gela!”. Non sorprende, quindi, sapere che, secondo i dati dello studio “Growing polarization around climate change on social media”, gran parte degli account in questione appartengano a utenti di estrema destra, spesso associati anche alla diffusione di teorie complottiste sul COVID-19 e delle più svariate congetture cospirazioniste come QAnon. La realtà è che la complessità (scientifica) del racconto delle cause e degli effetti del cambiamento climatico, poco si adatta alle modalità comunicative dell’epoca digitale, dell’ipercomunicazione passiva e superficiale, che domina i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione. Così, schiere di individui, senza alcuna competenza in materia, giocando sulla mancanza di un dovuto e necessario approfondimento, delegittimano una complessa e articolata verità scientifica, frutto di decenni di lavoro da parte di migliaia di studiosi di tutto il Mondo; ancor peggio, ancor più numerose schiere danno loro retta. Viene subito alla mente ciò che disse il Premio Nobel Umberto Eco parlando ai giornalisti durante la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli.”

Poco importano le testimonianze di chi è sopravvissuto a cinque o a sei anni di siccità, di chi ha perso la casa e la famiglia sotto tre metri di acqua, come poco importa degli appelli degli abitanti di Kiribati, che stanno vedendo la loro Nazione inabissarsi nell’Oceano; la negazione batte pure l’evidenza. Negare, sicuramente, risulterà più semplice e meno gravoso di accettare l’esistenza di un problema, che necessita impegno e dedizione, e che rappresenta ad oggi la più grande sfida che l’uomo abbia mai dovuto affrontare per la sua sopravvivenza. La lotta all’ignoranza.

di Valerio Orfeo

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