Si sente tanto parlare di lotta ai cambiamenti climatici, di riduzione dell’impatto dell’uomo sull’ecosistema, di impegni inderogabili, di transizione verde e coscienza globale ma anche quest’anno e anche più dell’ultimo anno e di quello precedente ancora, una parte considerevole del grande polmone, a cui sono aggrappate le vite di tutti sul pianeta, è andato irrimediabilmente perduto. L’Amazzonia, il nostro più grande alleato per la lotta ai cambiamenti climatici è in serio pericolo, ancora. Sempre l’uomo, ancora, a minare il futuro dell’uomo: era dal lontano 2006 che non venivano tagliati così tanti alberi in Amazzonia. Dopo 15 anni di lotte, sensibilizzazioni, appelli e petizioni, un nuovo record negativo: 22% in più di deforestazione rispetto al 2020. Uno schiaffo a mano smerza ad un intero mondo alla ricerca disperata di un futuro sostenibile. Attivisti, più numerosi e tenaci, combattivi, provati e immobili lottano come salmoni in preda ad una corrente che sembra aumentare all’intensificarsi dei loro sforzi. Una guerra contro mulini a vento, ormai piegati alla soia.

Se dovesse scomparire questa secolare foresta pluviale si perderebbe il 20% delle risorse di acqua, il 10% della biodiversità. Rappresenta da sola più di 1/3 del totale delle foreste pluviali del pianeta. Da sola riesce a trattenere tra i 150 e i 200 miliardi di tonnellate di carbonio.

“Stiamo assistendo alla distruzione della foresta amazzonica da parte di un governo che ha fatto della distruzione ambientale la sua politica” ha dichiarato il segretario esecutivo dell’Osservatorio sul clima, non ultimo a definire la politica di Bolsonaro, criminale. Uno studio recente, redatto dall’Inpe (Istituto Nazionale di Ricerca Spaziale del Brasile) e coadiuvato dai dati del sistema di monitoraggio della deforestazione Prodes, ha evidenziato come sia incrementato lo sfruttamento del bassopiano amazzonico negli ultimi anni. La deforestazione e gli incendi, che sono costati rispettivamente la perdita di 13.235 km2 e 8500 km2 di foresta nel solo 2020, creano spazi vergini per le monocolture di soia e il pascolo dei bovini. Entro il 2030, il 27% dell’Amazzonia non avrà più alberi. Mentre si creano assemblee, comitati e tavoli di discussione, mentre ci si impegna a inquinare di meno e a ridurre i combustibili fossili, tre campi da calcio e mezzo di foresta amazzonica vengono distrutti ogni secondo. Mentre la scienza si interroga sulla possibilità di sperimentare nuove tecnologie per lo stoccaggio della CO2 in costante aumento, distruggiamo il più grande deposito di anidride carbonica sulla Terra. Se dovesse scomparire del tutto non ci sarebbe più futuro per il pianeta, come non può esserci vita senza polmoni funzionanti.

di Valerio Orfeo

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