Mantenere la vocazione originaria di un luogo che nei secoli ha rappresentato un appiglio alle classi disagiate della città che impegnavano i propri averi per sfamare le proprie famiglie senza essere costrette a cedere ai ricatti dell’usura. Comitati territoriali, sindacati, associazioni, compagini politiche s’oppongono all’idea di vendita del Monte di Pietà del gruppo proprietario di Intesa San Paolo alla società di lavoro interinale Generazione Vincente intenzionata a realizzare una struttura ricettiva con ristoranti e sale per eventi. La posizione della cittadinanza attiva è quella di consentire alla struttura di rappresentare un attrattore per i visitatori appassionati di arte, di storia recuperando al contempo l’originario aspetto sociale per cui è nata. Non solo, tra le richieste c’è quella di far divenire il Monte della Pietà nuovamente il simbolo della lotta al racket e all’usura piaghe particolarmente stringenti in questo momento di crisi economica dovuta alla pandemia.

La vicenda -La rivendicazione, partita già da alcune settimane, ha trovato il suo momento pubblico questa mattina con un presidio all’esterno della sede di via San Biagio dei Librai 114, dove la struttura sorse nel 1539 promosso da Cub Salca, Potere al Popolo, Italia Nostra, Seconda Municipalità e altri comitati civici. Tutti loro avversano la vendita del Monte di Pietà che rappresenterebbe un nuovo smacco all’identità del centro storico di Napoli, oramai sbiadito da anni di turistificazione, gerentrificazione e appetiti di gruppi immobiliari a discapito dei residenti spesso costretti a emigrare altrove perché impossibilitati a pagare i fitti sempre più altri. La trattativa portata avanti con Generazione Vincente al momento non è conclusa, non c’è stato ancora alcun rogito. L’acquisizione avverrebbe per 8,5 milioni di euro a cui poi farebbe seguito un investimento di circa 30 milioni di euro con Generazione Vincente che ha chiesto i fondi a Invitalia, società partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia. È proprio in questo periodo di transizione sull’acquisto dei privati che la cittadinanza attiva del centro storico tenta di inserirsi e spingere affinchè gli enti pubblici, ai sensi del Decreto legislativo 44/2004, esercitino il diritto prelazione nell’arco dei 60 giorni. Non va dimenticato infatti come il Monte di Pietà sia un bene vincolato e dunque subito dopo il rogito il notaio è tenuto ad avvertire la Soprintendenza la quale dovrà avvertire gli enti pubblici dando loro la possibilità di far scattare il diritto di precedenza dei due mesi. I tempi però appaiono strettissimi visto lo stato delle trattative giudicato piuttosto avanzato. Dalla fine del 1700 e sino agli inizi degli anni 2000 il Monte della Pietà ha fatto riferimento al Banco di Napoli prima dell’acquisizione da parte del Gruppo Intesa San Paolo con un progressivo trasferimento delle opere e smembramento della struttura dove hanno trovato luogo i ritratti di Carlo di Borbone e opere di Battistello Caracciolo. A poco a poco, il Monte di Pietà è scivolato nel dimenticatoio sino agli ultimi sviluppi.

Il no della cittadinanza alla vendita «Con il trasferimento ai privati di cui si paventa sarebbe necessario un intervento del Ministero dei Beni Culturali. Se ciò non accadesse, allora la Regione Campania può prenderne possesso destinando il Monte di Pietà ad uso pubblico, in un territorio privo di attrezzature pubbliche» ravvisa Luigi De Falco, presidente di Italia Nostra associazione nata per la salvaguardia del patrimonio storico e culturale del Paese. «Da una situazione negativa la Regione Campania può cogliere l’occasione per ripristinare quello che era l’uso del Monte di Pietà», gli fa eco Giuliano Granato di Potere al Popolo. A prendere posizione è stato il consiglio della Seconda Municipalità che circa un mese fa approvò un ordine del giorno all’unanimità per scongiurare la vendita del Monte di Pietà. In una missiva inviata al Ministero dei Beni Culturali, Regione Campania, Città Metropolitana, Comune di Napoli e Intesa San Paolo per chiedere di esercitare il diritto di prelazione del pubblico, il parlamentino di piazza Dante ha proposto che il Monte di Pietà “ridivenga il luogo per la lotta all’usura e al Racket, e in questo potrebbe impegnarsi dando la possibilità, a coloro che ne sono vittime, di accedervi, attraverso un fondo per prestiti o finanziamenti, a tasso zero’’. «Anche io venivo qui quando ero in difficoltà economica per avere liquidità. Questa zona non à adatta a un albergo. Qui ci vuole la cultura perché Napoli è cultura» afferma Raffaella Di Napoli presidente associazione degli artigiani di Napoli. «Perché la banca vuole monetizzare proprio qui mentre dice di non voler disimpegnarsi per Napoli? È una degenerazione progressiva alla quale noi vogliamo opporsi» insiste Franco Di Mauro segretario provinciale Cub Sallca ed ex dipendente del Banco di Napoli. «Abbiamo curato la sala del Tesoro dove furono esposti tutti gli arredi sacri della cappella previo restauro di tutta la volta della struttura utilizzata per la vendita all’asta. La storia del Monte di Pietà no può essere venduta» si rammarica con i suoi colleghi Giancarlo Marobbio, ingegnere del Banco di Napoli che oltre vent’anni fa curò il restauro delle opere e la ristrutturazione degli ambienti interni.

La posizione di Intesa San Paolo– Dal canto suo Intesa San Paolo assicura che la vicenda Monte della Pietà non presuppone un disinteresse dell’istituto verso Napoli. Michele Coppola, Executive Director Arte Cultura e Beni Storici di Intesa Sanpaolo lo conferma facendo un riferimento preciso. «Le nuove Gallerie d’Italia di via Toledo, nella storica sede del Banco di Napoli – ricorda – saranno sempre più un centro culturale aperto alla città. I monumentali spazi accoglieranno il Martirio di Sant’Orsola di Caravaggio». 

di Antonio Sabbatino