È tra le prime otto cause di disabilità e infermità, il “low back pain”, quello che comunemente chiamiamo il “mal di schiena”, che nel 2050 scalerà su di un posto: dall’ottavo al settimo posto, arrivando persino a precedere una patologia invalidante come l’Alzheimer. Il mal di schiena diventerà quindi una delle cause invalidanti più importanti e diffuse tra la popolazione mondiale. A rivelarlo è uno studio di forecasting condotto su 204 paesi e pubblicato su Lancet nel maggio scorso (Vol. 403, 2024): “Burden of disease scenarios for 204 countries and territories 2022-2050”. Un’analisi sugli scenari futuri, utile non solo per l’aspetto sanitario ma anche sociale ed economico.
Sappiamo che il mal di schiena è uno dei disturbi più trascurati dalle persone, anche se costringe a stare a casa 1 italiano su 3 ogni anno, in termini di assenza dal lavoro: quindi indubbiamente un disturbo dall’impatto sociale e personale. E se il rapporto Censis-FNOMCeO del luglio 2024 ci ricorda che sono almeno 4,5 milioni gli italiani che rinunciano a curarsi, oltre questi occorre considerare anche coloro che necessitano di interventi fisioterapici e riabilitativi ma che vi rinunciano per molteplici ragioni.
Secondo ISTAT infatti sono 8,6 milioni le persone che in Italia hanno difficoltà motorie, di cui 3,4 milioni con difficoltà gravi, e 5,5 milioni le persone che ricorrono al fisioterapista.
In maggioranza (circa il 57%) sono le donne a ricorrere ai trattamenti fisioterapici.
Già l’Organizzazione Mondiale della Sanità, a fine 2022, segnalava come il 40% della popolazione europea e, addirittura, il 47% della popolazione italiana avesse necessità di ricevere un intervento riabilitativo, di cui la stragrande maggioranza di tipo fisioterapico (e parliamo di circa 27 milioni di nostri connazionali). L’analisi riportata su Lancet, tuttavia, conferma ancora di più quanto il mal di schiena, nello specifico, è già una patologia invalidante e fornisce una prospettiva su cui urge fare prevenzione: da qui al 2050, l’Italia rientrerà in quella categoria di Paesi con la probabilità di veder crescere, tra il 46% e il 53%, patologie e disturbi come il mal di schiena.
Numeri che impongono di agire, a partire da un utile vademecum e una campagna per raggiungere i cittadini e lavorare sui dati, anche sommersi, delle persone che necessitano di un intervento mirato.
Questo scenario sui numeri e i dati, è stato portato da FNOFI al tavolo della conferenza stampa che si è svolta oggi, 5 settembre, a Roma, presso la sua sede in viale dell’Università 11, lanciando la campagna comunicativa per la Giornata Mondiale della Fisioterapia: “Il Movimento che non si ferma”.
Alla conferenza stampa, hanno partecipato il Presidente di FNOFI Piero Ferrante, la Vicepresidente Melania Salina, la Dottoressa Mariella Mainolfi, Direttore Generale delle Professioni Sanitarie del Ministero della Salute e Saverio Proia, esperto di politiche sanitarie e del centro studi FNOFI. La conferenza è stata anche occasione per intitolare la sala del Consiglio FNOFI e dedicare l’apposita targa alla memoria di Mauro Gugliucciello, fisioterapista scomparso e che è stato ricordato dai colleghi, nonché dalla Vicepresidente Melania Salina, Presidente dell’OFI Friuli Venezia Giulia, a cui apparteneva il dottor Gugliucciello.
“Come FNOFI, lo avevamo promesso ed abbiamo iniziato ad agire da subito – ha dichiarato il Presidente della Federazione Piero Ferrante: imperativo categorico per lavorare sulla prevenzione del ‘low back pain’ (mal di schiena), è raggiungere i cittadini, anche attraverso i nostri nuovi canali social quali Instagram e Facebook, spiegando come affrontare al meglio la tematica del mal di schiena e le condizioni di cronicità, se sussistono, unite all’opportunità di un intervento fisioterapico. Come Federazione ci impegniamo ad intervenire su un quadro, appunto il mal di schiena, che per sua natura ha generalmente un esito favorevole, a migliorare l’accessibilità delle cure per i cittadini, a far sì che il fattore economico non sia una barriera per affrontarlo nel migliore dei modi, rendendo in questo modo il sistema salute più sostenibile, favorendo anche l’apporto di valore che i liberi professionisti fisioterapisti possono dare al SSN.
Tema della Giornata Mondiale della Fisioterapia di quest’anno è una problematica che, come vediamo dai dati anche della ricerca pubblicata su Lancet, accomuna praticamente tutti i cittadini: la ‘Lombalgia’. Il ‘mal di schiena’, che ogni anno affligge milioni di persone, è infatti senza dubbio una tematica in cui il Fisioterapista può e deve svolgere la sua azione importantissima, sia nei confronti della prevenzione, sia per aiutare le persone che ne soffrono a ricevere le risposte migliori – ha aggiunto il Presidente FNOFI”.
“Il panorama anagrafico ed epidemiologico è radicalmente cambiato – ha proseguito Ferrante – i cittadini hanno mutate esigenze ed esigono, legittimamente, risposte appropriate; il ‘Sistema Salute’, di conseguenza, sta vivendo situazioni di necessaria riorganizzazione, rispetto non solo alle nuove esigenze della popolazione, ma anche in rapporto al momento di crisi profonda che il nostro SSN sta attraversando. E, come sempre, i Fisioterapisti ci sono e ci saranno, con le loro competenze, acclarate da percorsi universitari, Master, Dottorati di ricerca, carriere sempre più apicali ed impegni sempre più costanti e coerenti con lo sviluppo, ormai inarrestabile, della Scienza della Fisioterapia – ha promesso il Presidente FNOFI. Ci sono e ci saranno, ben cosci del ruolo e del grado di autonomia professionale riconosciuto non solo dalle Norme e dalle acclarate evidenze scientifiche, ma anche dalla totale sicurezza delle cure e dalla soddisfazione dei cittadini stessi”.
Anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità arrivano segnali importanti attraverso la recente pubblicazione di nuove linee guida per gli interventi non chirurgici sul ‘low back pain’ cronico, il mal di schiena, sia negli adulti che nelle persone più avanti con l’età.
L’Italia è uno dei paesi con una prevalenza marcata del low back pain, il mal di schiena, nelle fasce di età più adulte, al pari di Stati Uniti, Australia, Russia, Iran e quasi tutta l’Europa, come si evince dalla mappa dell’OMS (immagine qui di seguito), che suddivide gli interventi necessari in cinque classi: l’educazione, ovvero l’apprendimento e la consapevolezza da parte del paziente; le terapie fisiche (gli esercizi), le terapie psicologiche, le terapie con multi-componenti e l’impiego di farmaci.
Al tempo stesso, le linee guida dell’OMS raccomandano anche le azioni da non fare o da fare con cautela nell’ambito di interventi di cure routinarie: trazioni, ultrasuoni, la stimolazione elettrica transcutanea nervosa (TENs); l’utilizzo di medicinali analgesici a base di oppioidi, antidepressivi, anticonvulsivi; la perdita di peso farmacologica.

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