Domenica 6 novembre, i rappresentanti della quasi totalità dei Paesi del Mondo si ritroveranno a Sharm el-Sheikh, in Egitto, per il ventisettesimo appuntamento mondiale incentrato sul tema del cambiamento climatico. La prima COP (Conference of Parties), l’annuale riunione delle Nazioni che hanno rettificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, in tempo di guerra. La conferenza 2022 si svolgerà in un clima contraddistinto dalla tensione internazionale, che il conflitto russo-ucraino ha generato e che va a sommarsi al crescente divario tra coloro i quali sono considerati i maggiori responsabili del cambiamento climatico e chi, invece, maggiormente lo subisce. Da una parte i Paesi considerati “ricchi”, che fanno parte del mondo occidentale industrializzato, definito anche il “Primo mondo” che, nonostante siano i primi responsabili della situazione climatica attuale, ancora perseverano nell’aumentare le emissioni di gas serra, e, dall’altra parte, i Paesi in via di sviluppo, il Secondo e il Terzo mondo, vittime preferite del cambiamento climatico, che ancora non hanno conosciuto una solida crescita economica, e che percepiscono la transizione ecologica come una minaccia allo sviluppo. Così, in agenda, più che le strategie per ridurre le emissioni clima-alteranti o una discussione su come impostare una concreta transizione energetica su scala mondiale, a far da padrone è il costo economico del cambiamento climatico: il cosiddetto loss and damage. In sostanza, i Paesi poveri chiedono ai Paesi ricchi di essere indennizzati, per il passato e per il futuro. Figlia del lungo tempo sprecato nell’attesa di agire, la Cop27 sembra non proporsi più di intervenire sulle cause della crisi climatica, ma piuttosto di correre ai ripari dai danni economici delle passate e future calamità naturali. Entro il 2050 il costo economico dei loss and damage nei Paesi in via di sviluppo si aggirerà, secondo stime prudenti, tra 1 e 1,8 trilioni di dollari. In prima fila, nel chiedere il mantenimento delle promesse fatte a conclusione della Cop21, ci sono proprio i padroni di casa. Parliamo dell’istituzione di quel fondo da 100 miliardi di dollari l’anno che i Paesi ricchi avrebbero già dovuto mettere a disposizione dei Paesi poveri, a seguito degli accordi stabiliti dalla Conferenza di Parigi del 2015. In vista della Cop27, Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia ha dichiarato: “Il tema dei finanziamenti necessari ad affrontare il costo dell’impatto sempre più distruttivo del cambiamento climatico è destinato ad essere al centro della prossima Cop27. Alla conferenza, i Paesi in via di sviluppo chiederanno di agire dopo decenni di ritardi, rinvii e promesse non mantenute. Ci uniamo a questo appello, perché senza un’azione immediata ed efficace ancora tantissime vite andranno perse”. Nel nuovo rapporto diffuso dalla rete “Loss and Damage Collaboration”, di cui Oxfam fa parte, si calcola che il 97% delle persone colpite da eventi climatici estremi, come il 79% delle vittime, vive nei Paesi in via di sviluppo. Popolazioni, come quella africana, che a fronte di un impatto sull’ambiente pari al 4% del totale, perdono ogni anno dal 5 al 15% di Pil pro-capite.

Mentre nei Paesi in via di sviluppo 189 milioni di persone ogni anno sono vittime del cambiamento climatico, nella sola prima metà del 2022, le più grandi compagnie energetiche che si avvalgono di combustibili fossili (Exxon Mobil, Shell, Chevron, BP, Total e la nostra Eni) hanno realizzato utili per cifre superiori ai 70 miliardi di dollari. Alla vigilia del ventisettesimo appuntamento mondiale per il clima non è ancora chiara l’intenzione di gran parte dei Paesi firmatari della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici, di voler favorire concretamente la transizione ecologica. Ad oggi, le emissioni di gas serra non solo non sono diminuite, ma continuano ad aumentare, come già detto dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres: «Le emissioni globali di gas serra devono essere ridotte del 45% entro il 2030 per avere qualche speranza di raggiungere lo zero netto entro il 2050. Ma le emissioni stanno salendo a livelli record, e porteranno a un aumento del 14% in questo decennio».

di Valerio Orfeo

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