Un possibile contributo alla lotta ai cambiamenti climatici sembra arrivare dalla coltivazione della canapa. Prima di diventare illegale nella maggior parte dei Paesi a partire dall’inizio del ‘900, questa pianta, dalla crescita rapida e consistente, era ampiamente impiegata nel settore edilizio, tessile, farmaceutico e in tanti altri ambiti d’utilizzo, con ottimi risultati.

Oggi, di fronte all’epocale sfida di stoccare la CO2 che produciamo in eccesso rispetto alla fisiologica capacità di assorbimento del Pianeta, la coltivazione della canapa potrebbe tornare presto di moda. L’Inghilterra è in lizza per diventare il primo Paese a coltivare canapa per scopi ambientali. Secondo l’Università di Cambridge, infatti, avrebbe una capacità di assorbimento di anidride carbonica maggiore di quella delle foreste, fornendo anche materiali bionegativi al carbonio; ciò comporterebbe un impatto positivo per l’ambiente. Un ettaro coltivato a canapa assorbe da 8 a 22 tonnellate di CO2 all’anno, una quantità superiore ad una foresta, che cattura da 2 a 6 tonnellate di anidride carbonica per singolo ettaro. Attualmente, sono solo 800 gli ettari autorizzati alla coltivazione della canapa nel Regno Unito, ma il Biorenewables Development Center e l’Università di York hanno proposto di aumentare a 80.000 ettari lo spazio in cui sarebbe consentito coltivarla, in favore dell’ambiente.

La canapa è una coltura che cresce tanto verso il cielo, fino a quattro metri, quanto in profondità nella terra. Nel tagliare la canapa, la radice rimane intrappolata nella terra, stoccando una quantità importante di CO2 in maniera permanente. Per questo, in passato, è stata usata in alternanza alle colture di grano, per aumentare la fertilità e la produzione del terreno. Dalla pianta oggi si possono ricavare anche bio-plastiche a zero emissioni e materiali da costruzione, che trovano applicazione nella sostituzione dei compositi in fibra di vetro, dell’alluminio e di diversi altri materiali. Anche l’azienda automobilistica BMW sta pensando di utilizzare prodotti a base di canapa per sostituire le parti in plastica delle sue automobili. Il canapulo, che è la parte interna legnosa del fusto della pianta, trova applicazione nell’edilizia sostenibile, costituendo il materiale principale dei cappotti termici di nuova concezione. Oltre a rappresentare già esso stesso fonte di stoccaggio permanente di CO2, il cappotto composto da pannelli di fibre di canapa si rivela essere il cappotto termico più performante per la riduzione delle emissioni climalteranti, grazie appunto alla riduzione dei consumi per il riscaldamento e il raffreddamento dell’edificio. Un’ulteriore conferma arriva dall’Analisi del Ciclo di Vita, condotta dal Politecnico di Torino, dei prodotti biocompositi in canapa e calce di cui sono costituti i pannelli termici e ha permesso di quantificare il loro impatto ambientale. Considerando tutto il processo, che inizia con l’estrazione della calce e la coltivazione della canapa, passando dalla produzione dei materiali da costruzione fino al loro impiego e smaltimento, in un periodo ipotetico di 100 anni, la grande quantità di CO2 atmosferica che la pianta di canapa fissa nel suo legno, durante il processo annuale di crescita e sviluppo, è in grado di sovracompensare tutte le emissioni delle fasi più energivore del ciclo di vita, con un bilancio favorevole all’ambiente. Considerando l’impellenza di compensare positivamente l’impronta umana sul Pianeta, coltivare una semplice pianta sembrerebbe la soluzione più comoda, anche se ancora in larga parte illegale. Si calcola che 11.000 metri cubi di prodotti biocompositi in canapa corrispondono alle emissioni di un’auto diesel che percorre per 90 volte la circonferenza del pianeta Terra al livello dell’Equatore, una valida motivazione per rivedere le normative sulla sua coltivazione.

di Valerio Orfeo

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