Stop alle nuove concessioni per l’estrazione di petrolio e gas. Questo l’annuncio del nuovo governo di Bogotà al Forum economico mondiale di Davos, che farebbe della Colombia la prima grande nazione produttrice a mettere un freno all’estrazione di combustibili fossili. Una scelta ambientalista di portata storica, soprattutto per un Paese produttore. La Colombia, infatti, basa gran parte della sua economia sull’estrazione di petrolio, gas e carbone: il greggio è il primo prodotto di esportazione per il Paese sudamericano, che si colloca anche come sesto esportatore di carbone al mondo; da solo il carbone rappresenta un terzo del prodotto interno lordo. Il neo Presidente Gustavo Petro, leader del partito Colombia Humana e primo Presidente di sinistra della storia del Paese, durante la campagna elettorale, conclusasi in agosto, è stato promotore di una rivoluzionaria proposta ambientalista per la Colombia, votata a privilegiare la lotta ai cambiamenti climatici e la salvaguardia del patrimonio naturale, a discapito della ricchezza proveniente da nuove esplorazioni e nuove trivellazioni. Un impegno che si basa su un programma ambientalista ed ecologista, che prevede una graduale riduzione della dipendenza economica del Paese dalle fonti fossili, in vista di una futura ma inevitabile transizione energetica. Una vera e propria scommessa green che si spera possa essere economicamente compensata dai grandi investimenti sulle rinnovabili, come l’istallazione di imponenti impianti solari nella regione desertica di La Guajira, in comproprietà con le comunità indigene Wayuu, e dalla crescita di tutti i settori collegati al turismo e al rilancio naturalistico del Paese. Con la trasformazione in legge dell’impegno a ridurre la produzione di fonti fossili, la Colombia entrerebbe a far parte della Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA), un’alleanza di paesi che ha deciso, di comune accordo, di mettere un freno alle fonti energetiche inquinanti. La Beyond Oil and Gas Alliance (BOGA) è nata durante i lavori della Cop26 di Glasgow, dalla volontà di Danimarca e Costa Rica di farsi promotori di una exit-strategy internazionale dai combustibili fossili, nel rispetto degli Accordi di Parigi. Piena adesione alla BOGA è arrivata da Francia, Irlanda, Portogallo, Groenlandia, Svezia, Nuova Zelanda, Galles e da stati subnazionali come Quebec, Stato di Washington e California, che si sono impegnati a non concedere nuove licenze di estrazione ed esportazione di petrolio e gas naturale. Gli stati membri della BOGA, complessivamente, non superano lo 0,2% della produzione mondiale di combustibili fossili, mentre la Colombia, da sola, conta una produzione che supera l’1% del totale. Un impegno, quello della Colombia, che valica persino i propri confini nazionali. Il Presidente Petro e la vicepresidente, l’attivista per l’ambiente Francia Marquez, si sono impegnati a far si che la compagnia petrolifera di Stato Ecopetrol, che estrae petrolio in tutte le Americhe, sia protagonista della transizione energetica nel continente. Nata soprattutto per proteggere la foresta amazzonica, la proposta si basa sulla creazione e la vendita di carbon credit , che compenserebbero economicamente la riduzione delle estrazioni, e di conseguenza le tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera.

Un programma ambizioso che, prima di essere attuato, dovrà affrontare la resistenza di una parte della classe politica e imprenditoriale colombiana, ancora molto legata alle ricchezze non ancora estratte da un sottosuolo ancora inesausto. Al contempo, dovrà fare i conti con il potere delle lobby del fossile, con gli interessi capitalistici e gli equilibri geopolitici nell’America del Sud. Davanti al Presidente ecologista Gustavo Francisco Petro Urrego, naturalizzato italiano, economista, e ancor prima militante della guerriglia rivoluzionaria di sinistra M-19, quattro anni di mandato che si prospettano difficili. D’altronde, una tale visione lungimirante sulla sostenibilità energetica e ambientale, si fatica a vederla persino nelle politiche degli Stati importatori di energia fossile, che avrebbero solo da guadagnare e poco da perdere da una strutturale transizione verso fonti rinnovabili. D’altro canto, se è giusto aspettarsi una vera rivoluzione verde, non esiste terra più fertile del Sud America.

di Valerio Orfeo

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