Come può una generazione inascoltata risollevare le sorti del Pianeta? Se lo chiedono i tanti attivisti per il clima, che da anni protestano in tutto il Mondo per far sì che i governi affrontino il problema del cambiamento climatico, con serietà e urgenza.

Negli ultimi tempi, sono saliti alla ribalta della cronaca per le azioni dimostrative di protesta che prendono di mira il patrimonio artistico e architettonico. Monumenti, statue, dipinti, bassorilievi e affini imbrattarti con vernice colorata idrosolubile sono solo l’ultima declinazione di una lotta senza quartiere ai cambiamenti climatici che va avanti da tempo. L’opinione pubblica poco li conosce ma non li vede di buon occhio e certo stampa, li presenta perlopiù come vandali. Anche se può rivelarsi comodo descriverli come personaggi usciti da un controverso film di Kubrick, non può lasciare spazio ad interpretazioni la nobile motivazione che li spinge a compiere questi gesti, che poco hanno a che fare con il vandalismo, che nasce dall’insensatezza, dalla fredda indifferenza e dalla mediocre ignoranza. Molti di loro sono giovani, spesso giovanissimi. Sono studenti, laureandi, laureati e specializzandi, ma anche madri, padri, figli, nonni, zii e nipoti. Non rappresentano un partito politico né una religione e non si identificano con una classe sociale specifica. Sono comuni cittadini, preoccupati per il loro futuro e per quello dei loro figli. Una preoccupazione che non nasce dall’isteria o dalla propaganda, ma da consolidate ed inequivocabili evidenze scientifiche. Secondo l’ultimo rapporto IPCC, con il quale l’ONU informa periodicamente i governi e i cittadini sullo stato dell’arte della crisi climatica, uno dei principali ostacoli alla lotta ai cambiamenti climatici è proprio la scarsa consapevolezza del problema.

Il primo rapporto IPCC, che annunciava una possibile minaccia futura per l’ecosistema, risale al lontano 1990. In questi ultimi 33 anni non c’è mai stata evidenza di particolare attenzione al tema climatico, né da parte dei governi, né da parte dei cittadini. Solo una giovane adolescente svedese con la sindrome di Asperger è riuscita ad attirare l’attenzione del Mondo sul problema climatico, usando la più nobile (ed inattaccabile) forma di lotta, la protesta pacifica. Il caso ha voluto che la giovane Greta diventasse in poco tempo non solo un fenomeno mediatico, ma il volto stesso della lotta al cambiamento climatico. Alla sua battaglia si sono uniti in tanti, ovunque. Una rivoluzione non violenta per la trasformazione sociale, che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone, scese in piazza per manifestare pacificamente, forti di avere la comunità scientifica dalla loro parte e confidenti che un problema globale non potesse essere ignorato per sempre. Per molti, le tante piazze gremite di manifestanti hanno rappresentato la speranza di un possibile cambiamento delle politiche ambientali su scala globale. Speranza arrivata al suo culmine alla vista di una ragazzina che, in rappresentanza di tutti gli abitanti della Terra, bacchettava senza remore l’assemblea riunita delle Nazioni Unite. Dopo quel lungo applauso che aveva il profumo di K.O., sembrava fatta. Dopo soli 5 anni, invece, il movimento Fridays For Future non fa più notizia e con loro anche il messaggio climatico, mentre le emissioni di gas serra climalteranti, non solo non sono in diminuzione, ma sono ancora in costante aumento. Lo sciopero per il clima di Greta Thunberg, che ha avuto il merito di sensibilizzare una parte dell’opinione pubblica, ha fallito in termini di provvedimenti ottenuti. Così l’inascoltato attivismo pacifico ha trovato una nuova veste, la guerriglia climatica. Come la storia italiana degli anni ’90 ci insegna, colpire il patrimonio artistico nazionale fa notizia e scuote l’opinione pubblica più di tanti sit-in, scioperi della fame o catene umane. Se si è scelto un metodo di protesta più “violento” , forse le ragioni vanno cercate nell’insufficiente attenzione che i mezzi d’informazione hanno dato al tema del cambiamento climatico, purché ovviamente non venga veicolato dalla notizia di un’azione eclatante, sbigottente o indignante. Il governo italiano, per far fronte a questa problematica, ha deciso di inasprire le pene per chi imbratta, deteriora, deturpa o distrugge beni culturali o paesaggistici, con pene fino a 60mila euro e carcere da 6 mesi fino a 3 anni. Dure le reazioni del mondo delle associazioni ambientaliste, che si stringono attorno alle parole del portavoce di Ultima generazione Simone Ficicchia: “Una maggioranza che invece di occuparsi della crisi climatica è sempre più attiva nel promuovere leggi ad hoc per punire azioni non violente messe in campo da persone preoccupate per il futuro di tutti”. Una cosa sembra certa, gli attivisti per il clima non si fermeranno: “Questo ovviamente non ci fermerà, anzi, è uno stimolo a fare di più. Sono provvedimenti di propaganda, per evitare di discutere dei problemi reali, per esempio i sussidi diretti e indiretti dello Stato alle fonti fossili. Penso che l’opinione pubblica si stia ormai rendendo conto della sproporzione delle misure che il governo sta mettendo in campo contro di noi e della loro ipocrisia”.

di Valerio Orfeo

 

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