La Gran Bretagna, stella polare dei liberalisti all’amatriciana, va in senso esattamente opposto

Il DDL è intitolato “concorrenza” – a dire il vero a chi scrive pare che l’attenzione del premier su titoli ed annunci sia certosina e studiata, ma dietro gli annunci poco si intravede – ma quanto le norme contenute contemperano un incremento della concorrenza? O saranno l’ennesimo esempio delle liberalizzazioni all’italian? In un caso in particolare, quello dell’abolizione del mercato elettrico tutelato, su cui ci soffermiamo, ci sembra che si vada in direzione opposta.
Con una monografia del novembre 2014 (“Energia elettrica, anatomia dei costi, quinta uscita della collana RSEview”) l’RSE, società di ricerca nel settore energetico del Ministero dell’Economia in quanto facente parte del gruppo GSE e finanziata con i fondi dedicati alla ricerca negli oneri in bolletta della componente A3, ci da un quadro estremamente chiaro di come il sistema elettrico italiano non sia pronto alla piena liberalizzazione, a causa di storture e anomalie che hanno storicizzato problemi non riallineabili dal mercato autonomamente.
Dalla monografica citata si ricava che nel confronto dei prezzi al dettaglio tra mercato libero e servizio di maggior tutela la bilancia penda da una sola parte decisamente. Sulla base delle rilevazioni effettuate dall’AEEGSI, è possibile stabilire un verifica della dinamica dei prezzi, fra il mercato libero e il servizio di maggior tutela, relativo ai prezzi pagati dagli utenti finali per la componente approvvigionamento, comprensiva di energia, dispacciamento, perdite di rete.

La dinamica dei prezzo tra maggior tutela e mercato libero

Tale confronto è stato svolto distinguendo fra clienti domestici e altri clienti. Si notano, in particolare negli ultimi due anni, prezzi significativamente più bassi per il mercato di maggior tutela, soprattutto per i clienti domestici.

Il prezzo della maggior tutela è sempre stato inferiore al prezzo del libero mercato, e tale andamento persiste anche per l’anno 2014 (vedi anche tabella allegata).
Per questi motivi ma soprattutto per le inefficienze del sistema elettrico, spesso causa di indebitamento delle famiglie e delle PMI a causa dei disagi provocati all’utenza, le associazioni dei consumatori si sono opposte in varie sedi e in diverse audizioni parlamentari alle ultime proposte di abolizione del mercato di tutela (tra cui la famigerata “proposta Assoelettrica” con l’emendamento presentato alla legge destinazione Italia), proprio sulla base di queste considerazioni oggi si corre il rischio che il principale effetto di questa misura sarà quello di aggiustare i conti delle aziende energetiche a spese dei consumatori domestici e delle piccolissime imprese. Oltre che generare una più ampia concentrazione di mercato favorendo di fatto un oligopolio tra i principali soggetti oggi incumenbt del mercato, in particolare gli attuali fornitori delle utenza in maggior tutela ovvero ENEL, ACEA e A2A.

I rischi
Il superamento del mercato di Maggior Tutela, infatti, non farebbe altro che eliminare un meccanismo trasparente di acquisto all’ingrosso per i consumatori domestici che impedisce comportamenti collusivi. Le famiglie italiane dovrebbero a quel punto scegliersi un nuovo contratto di fornitura sul Mercato Libero. E’ facile prevedere che soltanto una piccola parte dei clienti domestici sceglierebbe un altro operatore rispetto a quello che sinora le ha servite nel Mercato Tutelato, ovvero quello collegato al distributore. La stragrande maggioranza dei consumatori semplicemente rimarrà con il suo fornitore di sempre. E saranno soprattutto i consumatori vulnerabili quelli più esposti, perché poco mobili e meno capaci di valutare tutte le clausole di un contratto sul mercato libero. Non v’è dubbio che saranno proprio questi che pagheranno il conto più caro: troppo grande è la loro disparità di potere contrattuale, non compensabile dal semplice monitoraggio di tali prezzi da parte dell’Autorità per l’energia e/o da quella per la concorrenza per un periodo di tempo limitato.

La concentrazione di mercato e della distribuzione
Non si tratta di fare allarmismi,o di andare contro il mercato ma di verificare le dinamiche per quello che sono. Nel mercato dell’energia elettrica per i consumatori domestici, sia liberi che tutelati, circa l’83% dei volumi di vendita sono appannaggio dei primi 3 gruppi societari italiani, con il primo che raggiunge da solo addirittura il 76% (dati dalla Relazione dell’Autorità 2014). Una situazione che va chiamata col suo vero nome: oligopolio con forti venature di monopolio. Pressappoco quello che c’era in Italia prima della liberalizzazione del 1999.
In un contesto simile, è francamente incomprensibile quale potrebbe essere la ragione per cui si dovrebbe avviare la corsa al ribasso dei prezzi immaginata da alcuni teorici delle liberalizzazioni. Gli operatori potrebbero infatti fissare i propri prezzi senza confrontarsi con alcun benchmark di mercato e in assenza di serie misure antitrust, quali la separazione proprietaria tra generazione, vendita e distribuzione.
Ricordiamo che oggi la rete di distribuzione finale dell’energia per l’85% è proprietà di ENEL, A2A e ACEA mentre il consumatore finale non ha nemmeno accesso ai dati prodotti dal proprio contatore e non ha alcun metodo per verificare che quanto consumato sia realmente quanto fatturato se non attenersi ala produzione documentale degli stessi distributori.
Questo elemento, ovvero la scarsa trasparenza dei dati di consumo non è affrontata in alcun modo e lo sarà solo parzialmente con l’entrata in funzione del Sistema informativo integrato, che gestito da Acquirente Unico raggrupperà i dati delle utenze ma non gli andamenti dei loro consumi.
È evidente infatti che la semplice sorveglianza sui prezzi non costituisce un reale deterrente, sia che avvenga ex ante sia, a maggior ragione, qualora avvenisse solo ex post. Le autorità infatti non possono certo decidere quale sia il prezzo giusto per il consumatore finale. Possono soltanto verificare che i prezzi offerti non si discostino eccessivamente da una media di mercato o da alcuni indici appositamente individuati. Ma nell’assetto attuale, una volta eliminato il prezzo della Maggior tutela, che costituisce comunque un benchmark ben visibile, gli operatori potrebbero attuare accorte e graduali strategie di prezzo convergenti, volte ad alzarne il livello per il piccolo consumatore privo di potere contrattuale. La manipolabilità dei prezzi e la mancata trasparenza della loro formazione rispetto all’assetto attuale è esattamente la preoccupazione che ci spinge a denunciare con forza il rischio di trasformare definitivamente il consumatore domestico di elettricità in una mucca da mungere.
È sotto gli occhi di tutti che la crisi economica, con la contrazione della domanda da essa provocata, unita alla crescita forse non ben governata della produzione da fonti rinnovabili, ha posto il settore della generazione termoelettrica in gravissime difficoltà. Si moltiplicano infatti, da parte degli operatori, gli appelli per l’adozione, da un lato, di misure che “facilitino” la crescita dei consumi domestici e, dall’altra, di misure di sostegno declinate di volta in volta come Capacity payment o come Capacity market, ma riconducibili comunque a meccanismi di remunerazione della capacità indipendenti dalla effettiva produzione di energia. In un simile contesto, è chiaro che, in assenza di altri strumenti capaci di spezzare il filo diretto tra la produzione di energia e la sua vendita – oggi verticalmente integrata in operatori che svolgono entrambe le attività (e spesso anche la distribuzione) –, non esiste per gli operatori integrati nessun interesse a contenere i prezzi, figuriamoci a ridurli.

La situazione inglese
È esattamente la situazione che si è verificata in Gran Bretagna, dove il mercato è interamente liberalizzato. I primi sei operatori integrati, detti BIG SIX, detengono circa il 95% delle quote del mercato elettrico domestico: siamo dunque su cifre analoghe all’Italia. Secondo l’OFGEM, l’Authority britannica per il settore energetico, questa situazione ha determinato un problema di tacita coordinazione fra gli operatori. Infatti, l’andamento crescente dei prezzi dell’elettricità e la lentezza con cui i prezzi delle BIG SIX si adeguano alla riduzione dei costi all’ingrosso, associata invece alla velocità con cui risalgono, lasciano sospettare che ci sia una coordinazione implicita tra gli operatori. Per questo l’OFGEM ha chiesto l’intervento dell’Antitrust inglese, che ha iniziato una indagine volta all’assunzione di misure atte a modificare questo stato di cose. Dalle prime indiscrezioni trapelate sulla stampa britannica emerge che una delle possibilità che il “market watchdog” inglese sta valutando è precisamente la costituzione di un approvvigionatore all’ingrosso per i clienti domestici.
Sarebbe paradossale che l’Italia, avendo da subito adottato questo tipo di soluzione, vi rinunciasse a favore di un modello di liberalizzazione del segmento retail su cui è in corso una riflessione fortemente critica proprio in Gran Bretagna, cioè il paese stesso in cui tale modello è stato teorizzato e inizialmente attuato.

I disagi per i consumatori
E sarebbe vieppiù paradossale, a fronte del fatto che da anni viene denunciato dalle associazioni all’Autorità per l’Energia, al Governo e al Parlamento come il mercato elettrico sia ancora costellato di pratiche commerciali scorrette e caratterizzato da scarsa trasparenza nelle offerte, che spesso maschera una carenza di reali vantaggi economici, con effetti contrari alle aspettative dei consumatori. Basti dire che il 70% dei reclami aperti dallo Sportello per il Consumatore di Energia nell’ultimo triennio riguardano proprio il mercato libero, per motivazioni legate molto spesso alla fatturazione elettrica (circa un terzo dei reclami totali).
Cito qui solo di passaggio, ma la questione richiederebbe un approfondimento a parte, il fatto che la scomparsa del mercato di Maggior Tutela farebbe venir meno tutta la regolazione della qualità del servizio ad esso connessa.
Non si può tacere, infine, che la prevedibile crescita dei prezzi fin qui argomentata, con trasferimento di ricchezza dal consumatore finale domestico alle imprese, si aggiungerebbe ad una serie di gravami che già hanno trasformato la bolletta dei cittadini italiani in un bancomat per lo stato. Anche volendo tacere dell’altissima incidenza del costo degli incentivi alle fonti rinnovabili, dei costi per il decommissioning nucleare che si trascinano ad oltre vent’anni dalla chiusura delle centrali, non possiamo non ricordare che diverse norme succedutesi nel corso degli anni hanno stabilito dei prelievi in bolletta destinati al bilancio dello stato che costituiscono vere e proprie imposte di dubbia costituzionalità. Se è già intollerabile che la bolletta degli italiani sia utilizzata come un bancomat, è ancor più inammissibile che si trasformi in un meccanismo di remunerazione per le imprese mascherato da libera concorrenza.

Giuseppe Ambrosio – @ambrosiocodici
Direttore Comunicare Il Sociale

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