BOLOGNA. Verrà presentato a Casalecchio di Reno (BO) il prossimo 25 novembre alle 17:30, nell’ambito dell’iniziativa “Politicamente Scorretto” il primo volume dell’Atlante delle mafie edito da Rubbettino. All’evento parteciperanno Enzo Ciconte, storico della Criminalità e curatore assieme a Francesco Forgione e Isaia Sales dell’opera; l’editore, Florindo Rubbettino, Walter Dondi (fondazione Unipolis) e Antonio Maria Mira, giornalista di Avvenire. Il dibattito sarà coordinato da Carlo Lucarelli.
 
L’ATLANTE – L’Atlante delle mafie, il cui primo volume verrà distribuito in libreria a partire dal 5 dicembre, è un’opera in tre volumi che vedrà la pubblicazione di ciascun volume con cadenza annuale. Ogni volume vede la partecipazione di autori di grande rilievo cui è stato chiesto di approfondire un particolare aspetto del problema. Fra le firme di questo primo volume figurano, per esempio, Nicola Tranfaglia, Isaia Sales, Piergiorgio Morosini, Piero Grasso, Francesco Forgione, Raffaele Cantoni e altri.
I temi trattati sono vari da quelli storici a quelli legati all’attualità e agli aspetti culturali.
I TEMI – A cosa è dovuto il successo plurisecolare delle mafie italiane? E come mai viene definita “mafia” ogni violenza privata che ha successo nel mondo? L’Atlante delle mafie prova a rispondere a queste due domande. Partendo dalla messa in discussione dal paradigma interpretativo dell’esclusività della Sicilia nella produzione di ciò che comunemente si intende per mafia. Se un fenomeno, nato in Sicilia nell’Ottocento, ha avuto una così lunga durata, affrancandosi dalle condizioni storiche e territoriali che ne resero possibile la sua originaria espansione e proiettandosi così agevolmente nella contemporaneità (divenendo addirittura un modello vincente per tutte le violenze private del globo) non è utile continuare a descriverlo solo come un originale prodotto siciliano. Il modello mafioso, infatti, si è dimostrato riproducibile nel tempo e in altri luoghi, non più specifico solo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia. Con il termine mafia si deve intendere oggi un marchio di successo della violenza privata nell’economia globalizzata. Con questa ottica, l’Atlante delle mafie passa in rassegna le “qualità” criminali che differenziano nettamente i fenomeni mafiosi dalla criminalità comune e da quella organizzata. Esse vengono sintetizzate in cinque caratteristiche: culturali, politiche, economiche, ideologiche e ordinamentali. Secondo i curatori, si può ritenere mafia la “violenza di relazioni”, cioè una violenza in grado di stabilire contatti, rapporti, e cointeressenze con coloro che detengono il potere ufficiale, sia politico, economico e religioso, che formalmente dovrebbero reprimerla e tenerla a distanza. Perciò viene contestato ampiamente il luogo comune delle mafie come antistato, come antisistema. È stato proprio questo luogo comune a tenere per anni in ombra il vero motivo del successo delle mafie. Mentre alcune forme di violenza e di contestazione armata del potere costituito si sono manifestate contro le leggi e contro la visione unitaria dello Stato (il brigantaggio nell’Ottocento, le rivendicazioni etniche-territoriali e il terrorismo politico nel Novecento) e perciò alla fine sono state sconfitte, le mafie hanno usato una violenza non di contrapposizione, non di scontro frontale, ma di integrazione, interna cioè alla politica e al potere ufficiale. Dunque, per mafia si deve intendere una violenza di relazione e di integrazione. In questa loro caratteristica consiste la ragione del loro perdurante successo. di F. Heigel
PER SAPERNE DI PIU’:
www.polticamentescorretto.org

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