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Angela Procida, la campionessa che nuota oltre le barriere

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L’acqua come casa, come rifugio e come riscatto. A Singapore, ai Mondiali di nuoto paralimpico, Angela Procida ha conquistato il bronzo nei 100 dorso. Un metallo che luccica non solo al collo, ma negli occhi e nel cuore di chi la segue. Perché ogni volta che tocca il bordo vasca, Angela non fa scattare solo il cronometro, ma rievoca una testimonianza di vita.

«Lo sport per le persone con disabilità è fondamentale – racconta – perché nella vita i limiti ci sono, ma possono essere superati con forza di volontà e sacrificio. Lo sport ti dà autonomia, ti insegna a gestire la quotidianità, che per chi ha una disabilità può essere molto complessa. Ti dona forza fisica e forza d’animo. E aiuta ad abbattere barriere: culturali e architettoniche.»

Parole semplici e potenti, che spiegano perché una medaglia paralimpica pesa il doppio. Non solo per la fatica in vasca, ma per tutto ciò che c’è intorno: gli ostacoli burocratici, le strutture che mancano, i pregiudizi che resistono.

Angela lo sa bene. Nata a Castellammare di Stabia nel 2000, a cinque anni un incidente le ha cambiato la vita. Da allora la carrozzina è diventata compagna di strada. Ma non l’ha fermata. Anzi, le ha dato uno sguardo nuovo sul mondo: quello di chi non si arrende. Così ha trovato nello sport una ragione, una via, un sogno.

«Lo sport è stata autodeterminazione – dice – mi ha fatto diventare la persona che sono. Mi ha insegnato che i sogni esistono e possono essere raggiunti con sacrifici quotidiani.»

Un bronzo mondiale, dunque, che diventa simbolo di resilienza. Non è la prima volta: a Londra, a Funchal, a Parigi, Angela ha già dimostrato di poter sfidare l’impossibile. Ma ogni volta è diversa, ogni volta porta un segno nuovo. Singapore è la conferma che nulla può fermarla.

Eppure, tra le righe, c’è anche un grido d’allarme. «In Italia – spiega – non siamo ancora pronti ad accogliere lo sport paralimpico come uno sport professionistico. Non abbiamo strutture adeguate, e questo vale anche per gli atleti normodotati. Per noi tutto diventa più complesso. Dietro ogni risultato c’è il doppio del sacrificio: quello dell’allenamento e quello delle barriere che dobbiamo affrontare ogni giorno.»

Le sue parole lasciano l’eco di un impegno civile. Perché la sua è sì una storia di sport, ma anche di comunità. Ogni vasca di Angela diventa denuncia silenziosa, appello per un Paese più inclusivo. Ogni medaglia racconta non solo la gloria personale, ma il diritto di tutti a trovare spazi, strumenti, occasioni.

E allora Singapore diventa una cartolina speciale: il podio, il sorriso, il bronzo stretto tra le mani. Ma dietro c’è molto di più. C’è la bambina che non si è arresa. C’è l’atleta che non smette di sognare. C’è la donna che parla di barriere da abbattere, non solo in piscina, ma ovunque.

Angela Procida non è solo una campionessa paralimpica. È un esempio, una bandiera, una voce. Una ragazza che dall’acqua insegna a tutti che i limiti non sono confini, ma punti di partenza.

E mentre a Singapore il tricolore sventolava, lei lo sapeva: quella medaglia non era solo sua. Era di tutti quelli che credono che lo sport possa cambiare la vita. Era di chi ogni giorno combatte contro muri invisibili. Era, e resterà, il simbolo che il futuro, se lo vuoi, si conquista bracciata dopo bracciata.

di Francesco Gravetti

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