Un murale di 4mila metri quadrati all’esterno del carcere di Santa Maria Capua Vetere Caserta che entrerà dritto nel Guinness dei primati come il più grande al mondo realizzato da un unico artista. A realizzare l’opera d’arte, sulle pareti perimetrali dell’istituto penitenziario, sarà Alessandro Ciambrone, architetto e artista che arriva alla pittura dopo 25 anni di studi d’architettura, libera professione e sei anni di ricerca all’estero (Los Angeles, New York, Dublino, Parigi). Il murale è un progetto complessivo che prevede la partecipazione di numerose istituzioni. Per Ciambrone, è importante sottolineare che si tratta di un lavoro «che viene ampiamente condiviso, non è che sono io che faccio un murale per prendere il record del mondo, ma è una regione intera che si muove per raggiungere un primato eccezionale».
Alessandro Ciambrone ci spieghi più nel dettaglio il progetto e quanto tempo ci vorrà per realizzarlo.
«Ci vorranno tre mesi. Parliamo di un progetto di rilevanza internazionale perché si va a realizzare un record che sarà inserito nella Guinness dei Primati».
Qual è il messaggio che vuole lanciare?
«Una parete che per qualcuno diventa un limite viene superato dal colore e dalla fantasia. Poi inevitabilmente lì dentro ci sono delle persone che in qualche modo stanno comprendendo i propri errori, e quindi è anche un messaggio di speranza. Non soltanto la dimensione conta, ma anche la location, perché andarla a fare sulle mura del carcere ha un significato diverso, cioè farlo su delle mura che rappresentano una chiusura e la privazione della libertà. Noi abbiamo deciso di realizzare il murales più grande del mondo ma non te lo facciamo nel centro storico in un posto bello, te lo facciamo sulle pareti di un carcere dove si priva la libertà dove ci sono delle persone che soffrono, quindi diciamo è il senso quello che conta, poi la rappresentazione in sé per sé sarà ovviamente ufficializzata quando tutti saremo d’accordo sulla stessa tematica».
Lei ha realizzato già diversi murali sulle pareti di diversi penitenziari. Che rapporto ha con i detenuti?
«In questo caso non parteciperanno in una prima fase perché il record deve essere realizzato in autonomia: io vado a realizzare il record di un unico artista che dipinge il murale più grande del mondo. Attualmente il record è di 3600 metri quadri, io la supererò, se tutto va bene, arrivando a 4000. Nelle esperienze precedenti come al carcere di Poggioreale, a Secondigliano o Carinola, invece, posso dire che i detenuti si divertono molto, firmano i murali e per loro è un motivo di grande orgoglio. Sono tutti messaggi di amore, di pace, di contrasto alla violenza, di valorizzazione del patrimonio».
Cosa desidera trasmettere attraverso la sua arte?
«Il mio principio visto che sono un architetto è quello di trasformare dei luoghi degradati in luoghi di colore, perché io realizzo soprattutto murales in ospedali, carceri, istituti scolastici degradati, periferie urbane perché quelli sono i luoghi più degradati, quindi portare del colore, portare della speranza, diventa importante. Sono tutti murales di grandi dimensioni che portano un momento di serenità, di speranza, di luce, in momenti particolarmente tristi come quelli della malattia. La valorizzazione di posti degradati con la visione del colore, per me, è come il superamento di un momento di difficoltà. Il nero è il momento triste, buio è il colore, è il contrasto al nero, cioè un mondo fatto di colori è un mondo di speranza, di allegria, di contentezza, di felicità, quindi è quello che uno si augura quando si sente male, che ora sia nel carcere, sia nell’ospedale, o sia una scuola degradata, tutti si augurano di vivere una vita a colori».
La Street Art ha acquisito una notevole rilevanza nel panorama culturale globale. Come andrebbe incentivata secondo lei?
«Io mi auguro che sempre di più la street art possa entrare in una pianificazione di carattere amministrativo, anche perché molto spesso vengono richiesti inopportunamente parere della soprintendenza, quando la street art non dovrebbe essere soggetta a un parere della soprintendenza, perché è un’opera di per sé temporanea. Se io vado a dipingere sul muro e se quel muro dovesse non piacere, non è che devo abbattere il muro, io ci ritorno sopra e ripristino lo stato dei luoghi».
di Adriano Affinito