Omar Hassan è un artista contemporaneo di fama internazionale, da sempre attivo nel sociale. Per la prima volta arriva a Napoli con la mostra “Sottosopra” che si terrà al PAN dal 23 febbraio al 28 marzo e conterrà tutte le opere inedite e realizzate ad hoc per il PAN e la città di Napoli
E’  conosciuto a livello internazionale per due passioni: il pugilato e il colore, ma “Sotto Sopra” sarà una mostra spogliata del colore. Perché?
«La mia formazione presso l’Accademia di Brera e in particolare con il maestro Alberto Garutti mi ha spinto da sempre a ricercare gli aspetti concettuali dietro le opere d’arte. Il colore, a cui sono dedito da sempre, è un’arma a doppio taglio: se da un lato attira in modo semplice e diretto, dall’altro oscura un po’ tutto il pensiero che c’è dietro un’opera d’arte. Così, in “Sotto Sopra” non rinnegherò il colore, ce ne saranno delle tracce, ma questa volta punterò a far emergere di più il pensiero che c’è dietro l’opera».
Milano, Miami, Londra e adesso Napoli. Conosce bene la nostra città?
«Ho tanti amici napoletani e conosco molto bene la città a livello artistico. Devo dire che ha una marcia in più dal punto di vista dell’arte contemporanea. Tra le varie opere al Pan ci sarà anche un omaggio da parte mia alla città, in particolare al singolo abitante di Napoli».
In un’intervista di un po’ di tempo fa con Alessandro Benetton ha affermato che: “L’arte deve essere bella, ma anche buona, perché può salvare il mondo.” Come può salvarlo?
«Io penso che la bellezza aiuti l’anima a respirare. Quando una persona è circondata dal “bello” inevitabilmente sta bene ed è per questo che io faccio arte. Sono convinto che bellezza incida sul singolo e spinga al rispetto per il prossimo, fondamentale per far funzionare una società sana».
A Napoli c’è tanta bellezza, ma resistono anche tante realtà difficili. La bellezza prenderà il sopravvento?
«Sarà che noi artisti abbiamo la tendenza a cercare il bello in ogni cosa, ma per me anche nelle realtà più difficili, nei quartieri periferici o degradati, c’è già molta bellezza. E spesso, proprio in queste zone, nascono gli artisti migliori. Credo che sia dovuto all’etica, “al codice della strada”, che sviluppa delle bellissime persone. Quando mi confronto con i ragazzini più piccoli li spingo sempre ad inseguire un sogno, riempire le loro giornate facendo qualcosa che amino. Io le chiamo “le panchine dei sogni seduti”, sono  panchine piene di sogni di ragazzi che restano seduti. Io mi sono alzato, mi piacerebbe poter portare un esempio con la mia storia anche qui a Napoli»
E la sua arte come incide nel sociale?
«Durante le mie creazioni ho trascorso intere giornate con le persone in posti come Lambrate. Mi piaceva coinvolgere tutto il quartiere in un’arte che per me deve essere in grado di arrivare a tutti. Questa è una delle motivazioni per cui utilizzo tanto colore. Io amo l’arte concettuale, ma non sopporto l’idea che sia per pochi».
Nel tempo però ha dato anche un contributo finanziario in ambito sociale.
«Ho finanziato la ricerca per il diabete. Io ho scoperto di soffrirne da piccolo e ci convivo da sempre.  Quando la mia performance fatta a  Miami “Breaking Through’ è stata battuta all’asta ho deciso di devolvere tutti i fondi al Diabetes Research Institute, diretto da Camillo Ricordi».

di Lea Cicelyn