violenza-donneROMA- Si chiamano Donatella, Cinzia e Maria e da cinque anni condividono un appartamento a Montesilvano, in provincia di Pescara. Svolgono una vita normalissima che, però, rappresenta un grande traguardo. Le tre donne, infatti, soffrono di schizofrenia,  un disturbo del comportamento, e la loro coabitazione rientra nel progetto sperimentale “Piccole donne” della Caritas diocesana di Pescara.
L’INIZIATIVA-  Il cohousing è nato nel 2008 da un lavoro portato avanti dall’ osservatorio della provincia e  dal centro diurno “Laboratorio incontro”. «I ragazzi con disagio psichico una volta finita la riabilitazione psichiatrica devono rientrare nella società, ma spesso questo vuol dire ritornare nella famiglia d’origine e ripristinare alcune dinamiche che hanno fatto scaturire i loro problemi– dichiara la responsabile del progetto Adelaide D’Amico – succede quindi che molti di loro finiscano in clinica. Parlando e interagendo con gli psichiatri abbiamo, invece, pensato di sperimentare questo progetto di coabitazione con tre donne».
LA NORMALITA’- Le tre ragazze gestiscono la casa come se fossero normali coinquiline: pagano l’affitto, si dividono le pulizie, cucinano insieme e possono invitare qualcuno a trovarle. I volontari della Caritas le supportano e le contattano ogni giorno per sapere se hanno bisogno d’aiuto, mentre una volta alla settimana si fa una verifica generale. «Tra loro si sono sviluppate le normali dinamiche che si rintracciano in qualsiasi gruppo di donne con annessi e connessi –spiega D’Amico – Inizialmente faticavano ad ambientarsi e a capire cosa andavano a fare, perché erano abituate a una vita assistita, ma ora, a distanza di tempo, si vedono degli evidenti miglioramenti nella gestione della patologia. Anche le crisi, che prima venivano affrontate con il ricovero, sono state contenute, per quanto possibile, all’ interno dell’appartamento con l’aiuto degli psichiatri. E in generale, i momenti critici sono notevolmente diminuiti».
LA SOLIDARIETA’- La responsabile del progetto evidenzia, inoltre, che, dopo un’iniziale  momento di diffidenza, le tre ragazze sono state adottate dal quartiere: «è considerato un appartamento come gli altri e molti vicini vanno a trovarle anche solo per un caffè al pomeriggio. Per le persone con disagio psichico i tempi di miglioramento sono lunghi. Ma stiamo già pensando a replicarlo, almeno sul territorio provinciale.  L’obiettivo finale? E’ quello di un pieno reinserimento nella società e di una completa autonomia della persona. La vita comune favorisce relazioni sociali nuove – conclude – una di loro ha una borsa lavoro, mentre tutte sono comunque impiegate in attività di volontariato, una forma di impegno che le aiuta molto».

di Sabrina Rufolo

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