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Responsabilità sociale

I vent’anni di “Fratelli La Bufala” tra diffusione del brand ed impegno etico ed ecosostenibile

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Fratelli La Bufala compie vent’anni e per l’occasione il brand capace di diffondere l’eccellenza della pizza napoletana in giro per il mondo, nato dal genio visionario di Geppy Marotta, coniuga profitto e sociale.

Dopo la prematura scomparsa del suo ideatore, il marchio è stato ben condotto dalla moglie Lelia Castellano, architetto e designer di ogni sede del gruppo e dalle sue figlie, diventando non solo una società di prestigio del settore enogastronomico, ma anche un punto di riferimento di un’economia “diversa”.

Dieci anni fa circa, infatti, dall’incontro tra Marotta e Antonio Franco, nacque “Finché c’è pizza… c’è speranza”, il progetto di formazione per pizzaioli, che ha sede nel carcere minorile di Nisida.

Successivamente, è stata la volta di “Pizzeria dell’Impossibile”, locale preso in gestione a Napoli nel quartiere Tribunali, dove non solo vengono tenuti corsi da 200 ore per 15 giovani provenienti da realtà poco felici, ma è stata istituita anche una mensa per clochard e cittadini in difficoltà.

Attenzione, però, l’impegno dell’azienda, non si sviluppa solo in campo etico, ma anche ecosostenibile, tramutandosi in riflettore sul territorio e sull’ambiente.

Nello scorso ottobre Francesco Miccoli, project civil engineer di “Fratelli La Bufala”, ha messo a punto il primo forno sostenibile, il “Leaf Oven”, un forno a legna Eco-compatibile che consente di cuocere la pizza a Basso Impatto Ambientale (BIA), senza l’esistenza di una canna fumaria e non producendo fuliggine, dimezzando i consumi della legna nel rispetto delle tempistiche imposte dalla tradizione napoletana.

Inoltre, in una zona come la Terra dei Fuochi, Fratelli La Bufala, ha confermato il suo impegno e sostegno verso un’azienda che coltiva basilico napoletano in idroponica e acquaponica. L’utilizzo di questa tecnica agricola, basata sulla sinergia e combinazione simbiotica di acquacoltura e idroponica, garantisce non solo un risparmio idrico del 95% rispetto all’agricoltura tradizionale, ma anche un minor sfruttamento del suolo.

di Annatina Franzese

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